“La Lombardia è una regione che ha buoni servizi, ma che negli ultimi anni si è completamente arrestata in molti campi. Occorre riprendere un cammino molto lombardo, fatto di buona amministrazione e di concretezza”. Sono parole di Giorgio Gori, candidato dello schieramento di centrosinistra alla presidenza della Regione Lombardia. L’obiettivo dichiarato è chiaro: strappare la guida della regione alla coalizione di centrodestra. Con quali programmi, valori, strategie? In campo economico, occorre “tornare a competere a livello globale grazie a una maggiore apertura internazionale della nostra economia regionale” ed è necessario, da un lato, “promuovere un più stretto coordinamento tra tutte le strutture che fanno internazionalizzazione” e, dall’altro, “innescare un processo di innovazione dirompente”. Ma le sfide più impervie riguardano sanità e scuola, visto che in Lombardia la libertà di scelta è ormai un caposaldo. E su questo punto Gori vuole sgombrare il campo: “Non serve premettere che ho piena consapevolezza del valore dell’offerta formativa delle scuole paritarie e ho ribadito che è necessario mantenere il sistema della dote scuola per garantire veramente la libertà di scelta delle famiglie lombarde”.
Dottor Gori, in tre parole-guida perché ha deciso di candidarsi alla presidenza della Regione Lombardia?
Più che parole, direi concetti, valori. Nella mia vita professionale ho sempre costruito, mosso dalla volontà di fare e di migliorare costantemente. Prima come dirigente, poi come imprenditore e ora come amministratore. Da quattro anni sono sindaco di Bergamo, la città dove sono nato e dove vivo. Grazie a questa esperienza, ho potuto conoscere più a fondo la Lombardia, nella sua bellezza e nelle sue complessità, e osservare da vicino il funzionamento dell’amministrazione regionale.
Dal 1995 la Lombardia è amministrata da giunte di centrodestra: quali cambiamenti di strategia politico-amministrativa propone con la sua candidatura da centrosinistra?
La mia campagna è stata incentrata su uno slogan preciso, che è “Fare, meglio”. In questo concetto è contenuto un giudizio di valore e un’aspirazione. La Lombardia è una regione che ha buoni servizi, ma che negli ultimi anni si è completamente arrestata in molti campi. In altri è stata presa proprio una strada sbagliata. Occorre riprendere un cammino molto lombardo, fatto di buona amministrazione e concretezza di proposte per evitare un isolamento e un arretramento rischioso per tutti.
La Lombardia è tuttora regione-guida nel sistema-Paese su numerosi fronti, anzitutto quello dell’apertura internazionale. Quali sono le sue linee guida per mantenere e sviluppare le eccellenze e le competitività?
Tornare a competere a livello globale presuppone la capacità di migliorare l’apertura della nostra economia regionale in due direzioni: dobbiamo rafforzare la presenza all’estero delle nostre imprese e la loro penetrazione in mercati strategici e riuscire ad attrarre dall’estero più investimenti e competenze nel nostro territorio. Per farlo le misure previste dal nostro programma sono numerose. Ne cito una per tutte: occorre promuovere un più stretto coordinamento tra le diverse strutture che fanno internazionalizzazione in Regione Lombardia, individuando un’unica Direzione generale che se ne occupi e definendo un ruolo più chiaro per Finlombarda a supporto del tavolo di lavoro creato con le associazioni di categoria e le Camere di commercio.
Il welfare sanitario e l’education sono due ambiti di intervento privilegiato dell’amministrazione regionale. La traiettoria del sistema sanitario vive di una riforma strategica (consolidata nella legge 33) e di un aggiustamento portato dalla giunta uscente. Quali sono le sue valutazioni sul futuro della sanità lombarda?
La nostra è una sanità tradizionalmente di qualità e questa è un’eredità che si tramanda da parecchi decenni, da sempre contraddistinta dalle professionalità che ci lavorano e da una lunga storia di attenzione e sensibilità ai bisogni dei cittadini. La mancata riforma di questa legislatura ha portato grandi sofferenze nel sistema, a partire dai medici di medicina generale ma anche negli ospedalieri. Un principio giusto, come quello di un’azione forte e unitaria a favore dei malati cronici, si è trasformato in una serie di delibere che complicano la vita a medici e pazienti, senza migliorare nel complesso il risultato di cura. Occorre rivedere radicalmente il progetto di presa in carico regionale che oggi non ha ancora una forma e rilanciare, con l’estensione graduale in tutta la regione e per tutte le patologie, l’esperienza – ancora attiva, partita nel 2011 in alcuni territori – di presa in carico dei malati cronici. E poi anche il riordino della governance richiede una riflessione, rispetto anche alle zone montane. Diciamo che i temi sono tanti e le nostre proposte attente e mirate.
Può riassumere la sua visione sul sistema scolastico, dal ruolo delle iniziative non statali o in partnership (Its) allo sviluppo dei progetti più mirati all’inserimento professionalizzante sul mercato del lavoro (formazione e apprendistato)?
In Italia l’istruzione secondaria non generalista e tecnica è stata sempre considerata un’opzione di serie B nei percorsi formativi, di minor prestigio, lasciata a chi non poteva avere successo ai licei o all’università. L’incerta suddivisione delle competenze istituzionali, poi, ha portato a sviluppare due sistemi paralleli e non integrati – l’istruzione statale, anche professionale, e la formazione professionale regionale – che non può non disorientare e confondere le famiglie al momento della scelta. Come risultato abbiamo, in un quadro di fortissime disparità tra i diversi sistemi regionali, tassi di iscrizione al canale formativo professionale minori rispetto ai migliori modelli europei. Per una regione a vocazione industriale e tecnologica come la Lombardia, l’Istruzione tecnica superiore (Its), che offre ai giovani in possesso di diploma di istruzione secondaria corsi di specializzazione tecnologica in settori prioritari per lo sviluppo economico e la competitività, può rappresentare uno strumento d’eccellenza per diffondere la cultura tecnico-scientifica, perseguire concretamente l’innovazione e nel contempo costituire un percorso virtuoso verso l’occupazione in settori e lavori ad alto valore aggiunto. Per questo proporremo al ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, per quanto di sua competenza, il raddoppio di questa tipologia di offerta di istruzione, da realizzarsi nel corso dei prossimi cinque anni, in base a una programmazione condivisa con le imprese, le università, i centri di ricerca, gli enti locali e i diversi soggetti del sistema scolastico e formativo.
Come riconoscere la libertà di scelta e migliorare il sistema della formazione professionale lombarda?
Su questo tema è stata fatta molta disinformazione rispetto al mio programma e ho avuto modo di spiegarmi, credo in maniera esaustiva, con i rappresentanti delle varie esperienze lombarde. Non serve premettere che ho piena consapevolezza del valore dell’offerta formativa delle scuole paritarie e ho ribadito — anche scrivendolo espressamente — che è necessario mantenere il sistema della dote scuola per garantire veramente la libertà di scelta alle famiglie lombarde. Sul miglioramento del sistema vi sono molte proposte nel programma e non avrebbe senso banalizzarle in poche parole.
Il supporto di una Regione alle attività produttive può esplicarsi lungo varie direttrici: dallo stimolo alle start up giovanili all’intervento nelle grandi reti infrastrutturali. La sua Lombardia cosa vorrebbe privilegiare?
La Lombardia è leader nazionale con il 26,18% dei brevetti italiani e il 22% delle start up innovative. Il venture capital in Lombardia è cresciuto più della media nazionale. Buoni risultati, ma siamo ancora a livelli insufficienti per innescare un processo di innovazione dirompente e capace di trascinare il tessuto produttivo. Ovviamente un mix di proposte, che tenga conto del fermento delle nuove imprese, con la consapevolezza che però è il tessuto diffuso di imprese tradizionali che va aiutato e sostenuto.
Come sindaco di Bergamo lei si è espresso in modo netto in occasione del recente referendum sull’autonomia della Regione Lombardia. Quali sono, a suo avviso, le linee evolutive del federalismo italiano?
Quella sul referendum è stata una scelta che non ho preso in solitaria, ma che ha coinvolto i sindaci e i presidenti di provincia dei capoluoghi. Una miriade di amministratori locali hanno appoggiato la scelta nella consapevolezza che qualche materia, nel rigoroso solco della Costituzione, verrà amministrata meglio a livello regionale.
Il voto per il rinnovo dell’amministrazione regionale coincide con quello politico nazionale. Cosa prevede e cosa si augura a Roma dopo il 4 marzo?
Un governo che sappia dialogare con la Lombardia e che sia solidale ed europeista.