Ieri il presidente del Consiglio Mario Monti si è lasciato alle spalle le polemiche sull’articolo 18 per iniziare un lungo viaggio in Estremo Oriente che lo porterà a Seul, Tokio e Pechino. Al suo fianco la moglie Elsa e un discreto numero di giornalisti. «Il tempo delle grandi carovane di imprenditori per fortuna è finito – spiega a IlSussidiario.net Francesco Sisci, commentatore de Il Sole 24 Ore –. La Cina infatti non è più un paese da scoprire e oggi l’Italia ha bisogno di attrarre investimenti, non di prometterne come ha fatto in passato, collezionando tra l’altro brutte figure».
Prima di raggiungere la Cina, il premier sarà in Corea del Sud e in Giappone. Quali sono secondo lei gli obiettivi di questo “road show”?
La tappa coreana ha una grande importanza perché proietta il Paese in una dimensione globale che troppo spesso è stata trascurata. L’Italia, partecipando alla discussione sulla sicurezza nucleare, si allontana infatti dalle sue preoccupazioni immediate e torna in un certo senso nel Club dei grandi.
La visita in Giappone è significativa invece su un altro piano. Stiamo parlando della più grande potenza tecnologica dell’Asia e di una delle più importanti potenze commerciali del mondo. Non solo, è uno dei grandi acquirenti del debito europeo e del nostro stesso debito.
Infine la Cina.
Senz’altro l’appuntamento più importante, anche perché l’Italia manca dai tempi di Romano Prodi. Silvio Berlusconi infatti non è mai venuto qui nella veste di presidente del Consiglio. Si è trattato nel suo caso di brevi passaggi, magari come presidente di turno dell’Unione europea.
La Cina ad ogni modo è il Paese con le maggiori riserve del mondo ed è la più grande potenza emergente. Il futuro del mondo è legato a ciò che succederà a Pechino e la scelta di comprare o meno debito italiano si rivelerà molto importante per il nostro Paese.
Con che immagine si presenterà Mario Monti a questo appuntamento?
Innanzitutto, la differenza tra governo tecnico e governo politico è difficile da capire per i cinesi, si tratta di questioni iniziatiche. Monti viene visto come il capo di un governo che ha saputo dare un cambio di immagine al suo Paese. Si è cambiato registro, l’uomo è serio, credibile e mantiene ciò che promette. I cinesi sanno che la situazione italiana sta migliorando, ma non sono certo dei sempliciotti. Al contrario, sono molto sofisticati.
Cosa intende dire?
L’avvertimento del governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, e del segretario al Tesoro, Timoty Geitner, secondo cui il “toro non è stato per le corna” riflette un timore molto presente anche qui.
Per quanto riguarda l’Italia è noto infatti che sono state aumentate le tasse, ma anche che la crescita sarà negativa. In Cina negli ultimi trent’anni l’economia è stata aperta con grande determinazione e si aspettano che anche noi facciamo lo stesso, attraverso significative liberalizzazioni che svincolino l’economia italiana da lacci e lacciuoli. Non solo, il nostro sistema di assistenza sociale è considerato insostenibile e la Cina vorrebbe sapere quando decideremo di cambiarlo.
In Italia si dice che l’asso nella manica che Monti può giocare sul tavolo internazionale è la modifica dell’articolo 18. È davvero così?
Di questo sulla stampa cinese non se n’è parlato. Credo che sia un passo nella direzione giusta, ma niente di più. L’unico asso che si può giocare in questa partita è una nuova politica sulla Cina.
Il tentativo ammirabile e lungimirante di Prodi, di coinvolgerla nella infrastrutture italiane, si è concluso in un nulla di fatto. Oggi Mario Monti ha la possibilità di scrivere una nuova pagina, anche perché l’interesse verso di noi è molto alto. Se l’Italia infatti dovesse cadere nel baratro anche l’Europa e l’equilibrio economico mondiale sarebbero a rischio.
E che risultato potrà ottenere secondo lei?
La Cina gli porrà, in modo garbato, una serie di precise domande. L’obiettivo del premier, a mio avviso, è raccogliere credito e fiducia. Se vorrà parlare di investimenti lo dovrà fare in maniera molto concreta e precisa, altrimenti non ne parli proprio. Oggi non è questa la priorità.
(Carlo Melato)