E ora cosa diavolo si inventeranno? Ora che il debito italiano è arrivato, secondo il recente bollettino di Bankitalia, a 2168 miliardi, come faranno a giustificare quanto fatto nel passato? Come faranno a giustificare un simile fallimento? La loro speranza è una sola: la smemoratezza, la perdita di memoria. Solo se potranno spingerci a una smemoratezza totale potranno continuare a perseguire azioni folli senza esserne responsabili, cioè senza essere chiamati a risponderne. Certo, l’impresa diventa sempre più difficile. Le motivazioni così alacremente diffuse e propinate diventano sempre più difficili da difendere nel tempo. Faccio un esempio su una delle più recenti. Quella del ritornello secondo il quale “dobbiamo fare le riforme, come le ha fatte la Germania nel 2003”. Ma ora che il pure il Pil tedesco risulta in calo, come faranno a difendere una simile impostazione?
Tutto questo deve essere pure combinato con gli altri dati, insieme ai quali possiamo ricostruire un quadro che finalmente ci racconta la verità sulla medicina che finora ci hanno propinato. Una medicina, anzi un piano di cure, che avevo già bocciato a suo tempo, poiché la scienza economica e quella matematica ci potevano fornire già allora tutte le informazioni necessarie per un giudizio negativo. Un giudizio fondato su alcuni pilastri fondamentali, che qui riepilogo brevemente: il primo è quello di un sistema monetario basato sul debito, poiché tutta la moneta in circolazione è debito in circolazione; il secondo è quello di un sistema finanziario frattale, cioè che nella sua dinamica favorisce gli eccessi, cioè la formazione di bolle speculative e pure il loro scoppio; il terzo è quello di un sistema fiscale che diventa sempre meno correlato con i servizi che uno Stato dovrebbe fornire e sempre più legato agli strumenti finanziari che sostengono i bilanci dello Stato, quindi un sistema fiscale sempre più vessatorio e immorale.
Ora, oltre al giudizio preventivo e fondato sul buonsenso, abbiamo ancora una volta i dati che lo confermano. Il Def del governo Renzi aveva previsto per il 2014 il Pil al +0,8% e il rapporto debito/Pil al 135%, per poi iniziare a calare dal 2015, sempre contenendo il rapporto deficit/Pil sotto il 3%. Ora invece il Pil risulta in calo dello 0,2% sul trimestre precedente (così siamo pure in recessione tecnica, cioè con Pil in calo per due trimestri successivi, dopo il calo dello 0,1% del trimestre scorso) e in calo dello 0,3% su base annua. Se pure, con qualche miracolo, chiudessimo l’anno con crescita zero (un successo rispetto a oggi), con il debito a 2168 miliardi avremmo il rapporto debito/Pil a oltre il 138%.
Eppure ancora oggi si trova chi commenta riproponendo la stessa strada percorsa fino a oggi, la stessa ricetta che ci ha condotto al disastro. Ancora si trovano commenti entusiasti nei confronti della Spagna (col sottinteso discorso “vedete? Loro hanno fatto le riforme e ora hanno la ripresa economica”) perché è venuto fuori il dato di un Pil in crescita allo 0,6%. Una crescita striminzita, ma a quale prezzo? Con quali costi sociali? Con quanta disoccupazione? Eppure nelle stesse ore esce fuori il dato del nuovo record del debito spagnolo: superata la soglia dei mille miliardi di euro, nuovo record mai raggiunto prima; e ormai sulla soglia del 100% rispetto al Pil. Eppure a dicembre 2013 il rapporto debito/Pil era al 93,7%. Vi rendete conto dei numeri? C’è chi commenta positivamente una crescita di Pil dello 0,6% su base trimestrale, quando il debito in sei mesi è cresciuto di circa il 6%. E pensare che nel 2007 il debito era al 36% del Pil.
Lo stesso il Portogallo, con Pil al +0,6% sullo scorso trimestre, ma col debito al 127% (era a 108% nel 2012) ha ben poco da festeggiare. E poi la Grecia, col suo 160% di debito/Pil. Eppure su Il Sole 24 Ore possiamo leggere commenti come questo: “Assieme alla Grecia, sono la periferia del Sud che si prendono la rivincita sull’Europa del Nord”. Tutto questo perché il Pil della Germania è in calo dello 0,2% sul trimestre, mentre la Francia è ferma al palo con uno zero tondo. E la Francia non può nemmeno dire di stare meno peggio. Lì il governo Hollande aveva previsto una crescita dell’1% per il 2014. Ora le stime sono per un misero 0,5%. Ma la grossa grana è il deficit, previsto inizialmente al 3,8% per quest’anno e sotto il 3% per il prossimo. Ma ora non è più così, prevedono al 4% quest’anno e ancora sopra il 3% per il 2015.
Così anche la Francia sforerà i famosi parametri di Maastricht, quei parametri che sono sconosciuti alla scienza economica e che nessun Paese è riuscito mai a giustificare nei propri bilanci. E sono quei parametri entro i quali il nostro governo tenterà di far stare i conti in tutti i modi, giustificando per questo tutte le iniziative di nuovi prelievi fiscali e di liberalizzazioni (cioè svendite di patrimoni di Stato) che metterà in atto nei prossimi mesi.
Per impedire questo disastro, per evitare lo scempio occorre che si muova un popolo. Occorre tornare a fare memoria di quanto successo nei mesi passati e di quanto ci hanno raccontato in questi mesi. Recentemente, un lettore aveva commentato un mio articolo sul Bitcoin asserendo una mia mancanza di affermazioni su cosa sia la moneta. Ma, a parte che certe affermazioni le avevo fatte, rimane il fatto che pure certe monete elettroniche (come il Bitcoin) si fondano strutturalmente sul criterio di non avere memoria, fino al dettaglio di non lasciare traccia delle transazioni. Questa peculiarità ha attirato ovviamente l’attenzione della malavita organizzata, poiché diventa una modalità interessante di riciclare il denaro sporco senza lasciare traccia. E di fronte a questa possibilità la risposta di alcuni esponenti tra i sostenitori del Bitcoin è stata del tipo “non ce ne importa, l’importante è che abbia successo”. Questo è un’ulteriore conferma del fatto che se manca la memoria, allora manca la possibilità di giudizio; e se manca il giudizio, allora manca anche la moralità.
E la cosa “simpatica” è che gli stessi sostenitori del Bitcoin, in genere molto critici col sistema monetario ufficiale, sembrano non rendersi conto di quanto il Bitcoin assomigli a quelli. Pure l’euro non sembra avere memoria di una comunità, di un popolo; né sembra che venga creato secondo un criterio sociale condiviso, ma solo secondo criteri che appartengono alla finanza. Come per il Bitcoin, nella gestione monetaria dell’euro non si ravvisa un criterio che sia memoria di qualcosa. Eppure il commentatore del mio articolo ha scritto: “La comunità riconosceva un certo valore nell’oro, come oggi riconosce un certo valore nel Bitcoin”. Ma di quale comunità stiamo parlando? Esiste una comunità del Bitcoin? Cioè una comunità che, al di fuori dello scambio monetario, sia portatrice di una storia, di una memoria, di un insieme di valori? Oppure siamo di fronte a una definizione artificiosa, buona per definire un occasionale scambio di pseudo moneta, senza alcun altro tipo di implicazione?
La memoria è pure la medicina salutare per la crisi spirituale di questi tempi. A ottobre si svolgerà il convegno della Cei intitolato “Nella precarietà la speranza”: speriamo che sia una occasione per ricostruire la memoria di un popolo. Con l’euro si favoriscono pochi (i poteri finanziari) mentre col Bitcoin non si favorisce niente e nessuno, nemmeno l’economia. Ma gli interessi del popolo sono una cosa molto diversa.