Alitalia discute il nuovo piano industriale con i sindacati. Le indiscrezioni indicano fino a 2.000 esuberi al fine di avere un risparmio complessivo di circa 300 milioni di euro per il vettore che negli ultimi anni ha accumulato perdite per oltre un miliardo. L’accordo con i sindacati non sembra irraggiungibile, ma è importante valutare se questa nuova politica potrà dare gli effetti sperati.
L’azienda è già infatti efficiente da un punto di vista di costi operativi rispetto alle altre compagnie tradizionali. I costi per passeggero chilometro sono più bassi per Alitalia rispetto ad Air France- Klm o Lufthansa. I problemi maggiori, come ripetuto spesso anche da Ugo Arrigo proprio su queste colonne, derivano da una struttura della flotta troppo sbilanciata sul mercato interno. Mercato che ha visto la sempre più forte competizione delle compagnie low cost. Ryanair ed Easyjet hanno ormai il 20% e il 10% rispettivamente della quota di mercato dei passeggeri in Italia: una cifra molto elevata che mostra la pressione competitiva nei confronti di Alitalia.
Per questo motivo è necessario che il vettore di bandiera si rifocalizzi verso l’intercontinentale, vale a dire il mercato con i margini maggiori. Per fare questo è imprescindibile l’acquisto di aerei a lungo raggio e la creazione di una struttura forte di hub and spoke dall’aeroporto di riferimento, Roma Fiumicino. Il taglio di alcune tratte e la messa a terra di undici aerei a corto e medio raggio può essere utile solo nell’ottica di rilanciare il lungo raggio. Vale a dire cercare di tagliare le tratte point to point di AirOne, che ha accumulato perdite per quasi mezzo miliardo di euro dalla nascita del nuovo gruppo a oggi, per cercare di rendere la compagnia “low cost” un feeder di Alitalia.
AirOne non riesce a competere con l’efficienza di Easyjet e Ryanair nel point to point sugli scali secondari. Meglio usarla quindi come feeder. Questa strategia tra l’altro è attuata ormai dalle maggiori compagnie mondiali. A livello europeo, ad esempio, esiste Germanwings che opera per Lufthansa e Iberia Express per il gruppo Iberia-British Airways. Rinforzando l’hub and spoke, Alitalia potrebbe finalmente vedere i propri margini risalire e uscire dal rosso che storicamente caratterizza questa gestione.
Tuttavia i 300 milioni di euro di ricapitalizzazione, anche se dovessero arrivare tutti, non sono abbastanza per rilanciare il vettore. Questi soldi servirebbero solo a tenere in vita il vettore per altri mesi, nonostante il piano di taglio dei costi. La politica stand-alone non può resistere a lungo, può essere solo un passaggio verso l’integrazione con un vettore più forte di Alitalia. Si ricorda che le dimensioni della compagnia italiana sono pari a meno della metà di quelle di Easyjet e circa un terzo di quelle di Ryanair in termini di passeggeri trasportati nel corso del 2012.
Senza un investimento di almeno 4 miliardi di euro nei prossimi tre anni, la compagnia non può avere futuro e questo ultimo aumento di capitale con l’entrata del socio pubblico Poste Italiane rischia di creare solo maggiore confusione tra la variegata compagine azionaria. È da sottolineare inoltre che non tutti i soci sembrano andare nella stessa direzione. Il fatto che Aeroporti di Roma, che ha l’azionista di riferimento in comune con uno dei maggiori soci di Alitalia, abbia accettato di fare entrare Vueling e Ryanair nello scalo di Roma Fiumicino (chi dice che decide solo Assoclearence fa finta di non sapere come funziona il trasporto aereo) poco prima della presentazione di questo piano industriale ai sindacati, evidenzia “qualche problema” tra gli shareholders.
In definitiva, il piano industriale può avere solo un futuro solo se vi sarà l’arrivo di un partner industriale forte che investa diversi miliardi di euro per rilanciare la compagnia.