Dopo una lunga gestazione in sede referente, il disegno di legge governativo in materia di intercettazioni telefoniche, sulla base della fiducia posta dal Governo, è stato velocemente licenziato dalla Camera ed ora passa al Senato per la seconda approvazione.
Il voto alla Camera, forse anche grazie allo scrutinio segreto, ha registrato una apprezzabile adesione anche da una parte dell’opposizione, facendo emergere un interesse trasversale alla materia ed un’avvertita esigenza di riforma.
In effetti, soprattutto negli ultimi anni, la risonanza mediatica di alcune importanti indagini condotte attraverso intercettazioni telefoniche ha dato l’impressione di un utilizzo sconsiderato dello strumento investigativo, con gravi lesioni della riservatezza degli interessati non collegate a reali esigenze di giustizia, né di informazione. Le responsabilità degli organi di stampa sono innegabili, perché spesso dietro il paravento del diritto di informazione si celano conflitti politici e interessi commerciali. D’altra parte anche la gestione ed il controllo delle intercettazioni affidato alla magistratura sono stati inadeguati e inefficaci, sia in sede di autorizzazione ed esecuzione delle intercettazioni, sia in sede di tutela della segretezza e di cautela nella selezione delle conversazioni realmente rilevanti per le indagini.
È certamente falso che “siamo tutti intercettati”, ma è evidentemente vero che alcuni abusi e strumentalizzazioni a fini politici sono stati sotto gli occhi di tutti. Un problema innanzitutto politico, quindi, è alla ricerca di una soluzione tecnica, necessariamente diretta verso una limitazione dell’impiego di tale strumento ed una regolamentazione della materia; che non può sottrarsi però alla verifica della razionalità del sistema, nel rispetto di un mezzo di ricerca della prova che ancora oggi risulta insostituibile nel contrasto a molte forme di criminalità comune ed organizzata.
E quest’ultimo, a dire il vero, è forse il punto più dolente del testo licenziato dalla Camera, ossia la contraddizione tra una politica che valorizza il tema della sicurezza ed un’attività legislativa che, di fatto, restringe notevolmente l’impiego di uno strumento investigativo fondamentale, fino quasi a vanificarlo. La nuova disciplina, infatti, prevede sia procedure formali più complesse, alle quali non corrispondono – in termini reali – maggiori garanzie per i cittadini, sia forti limitazioni di operatività, che pregiudicano l’accertamento anche di delitti comuni quali omicidi, rapine, estorsioni, usura, violenze sessuali, spaccio di droga e via continuando.
Infatti, mentre il dibattito politico si è attardato sull’inserimento nel catalogo dei reati “intercettabili” dei delitti contro la pubblica amministrazione o dei delitti economici, sono finiti in un cono d’ombra i delitti della criminalità comune, più pericolosamente vicina ai cittadini ed ai loro interessi personali e patrimoniali.
Posti alcuni punti fermi alla Camera, il passaggio al Senato può costituire senz’altro l’occasione per introdurre alcuni correttivi senza pregiudicare l’utilità investigativa delle intercettazioni. Un nuovo testo più condiviso e dotato di maggiore razionalità e coerenza potrebbe riscuotere un consenso ancora più ampio nella fase di ritorno alla Camera, che così potrebbe approvarlo in termini rapidissimi.
Il ddl approvato dalla Camera prevede un regime più agile (anche se migliorabile) per disporre intercettazioni nelle indagini di mafia e terrorismo ed uno più rigido e impervio per tutti gli altri delitti, compresi quelli già elencati quali omicidi, rapine, estorsioni, usura, violenze sessuali, spaccio di droga e altri. Lo strumento tecnico per tracciare il cosiddetto “doppio binario” (già sperimentato nella disciplina vigente) è il rinvio ai delitti di competenza della Direzione Distrettuale Antimafia (articolo 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p.); sarebbe sufficiente, in proposito, fare invece riferimento ai delitti di criminalità organizzata in genere ed al catalogo di reati contenuto nell’articolo 407 comma 2 c.p.p. (che comprende i più gravi delitti di criminalità comune o di allarme sociale ed a cui occorrerebbe aggiungere lo spaccio di droga) per dare coerenza al sistema e non contraddire l’indirizzo di politica criminale del Governo.
Analogamente, la disposizione che pone un limite temporale alle operazioni di intercettazione trova giustificazione nell’inefficacia dei sistemi di controllo e sulla durata di fatto incontrollata di ascolti inutili; ma stabilire il termine perentorio di 60 giorni risulta del tutto irragionevole ed arbitrario rispetto alle reali esigenze investigative.
Un altro profilo che necessita di interventi è costituito dalla sostanziale abrogazione delle intercettazioni in procedimenti contro ignoti, salva la possibilità di intercettare le utenze della persona offesa dal reato su sua richiesta. Spesso l’unico bandolo della matassa in casi di omicidio, di rapina o violenza sessuale commessi da ignoti è costituito da utenze telefoniche collegabili al delitto, ma che possono appartenere a soggetti non identificati e quindi non intercettabili in quanto “ignoti” (si pensi ai numeri memorizzati sul cellulare della vittima nei momenti precedenti il fatto o presenti su appunti, rubriche telefoniche e simili). Così anche la possibilità di acquisire tabulati telefonici al solo scopo di identificare i soggetti presenti sul luogo del delitto vanifica la ricerca di mandanti, complici e fiancheggiatori, che per definizione non sono sul luogo del delitto.
Altre norme, invece, apprestano una tutela meramente formale che in concreto non assicura affatto migliori valutazioni giurisdizionali, come l’affidare la materia al tribunale collegiale della sede distrettuale, oppure sono di problematica interpretazione, come gli “evidenti indizi di colpevolezza”, necessari per autorizzare l’intercettazione.
È comprensibile l’urgenza del Governo di lanciare un messaggio politico chiaro su una materia in cui si sono registrati evidenti abusi, ma anche l’azione politica deve accettare di rispondere a criteri di realtà e di ragione, soprattutto in materie che hanno una loro specifica dimensione tecnico-giuridica ed operativa. In proposito, la scelta di disciplinare e sanzionare con maggiore rigore la pubblicazione indebita dei dialoghi intercettati è giusta e sembra apprestare quella tutela alla riservatezza delle persone, di cui si avvertiva effettivamente la necessità, e rende ancor meno necessario un intervento eccessivamente restrittivo sullo strumento investigativo come tale.
(Saverio Mancini)