La fotografia dell’Italia, in redditi, tasse e spese, salta fuori impietosamente, dai dati elaborati dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia. Riassumiamo brevemente quelli più indicativi. Il reddito medio annuo degli italiani è di 19.250 euro. Ma se si esce dalle percentuali “alla Trilussa”, il 49% degli italiani dichiara un reddito annuo che non supera i 15.000 euro. E ben un terzo degli italiani, circa 14 milioni di persone, non supera un reddito complessivo lordo di 10.000 euro all’anno. Naturalmente ci sono le differenze regionali, alcune marcate, altre meno. Il Paese, con questi dati, è nel bel mezzo di una crisi economica e finanziaria epocale, con una pressione fiscale che sta diventando insostenibile per molti. L’ultimo indicatore che inquieta è l’impennata dei prezzi nel mese di marzo. Inutile ripetere quello della benzina e del gasolio, sempre a due cifre. Senza dimenticare “la ciliegina sulla torta” degli aumenti in arrivo per le bollette di luce e gas. Il professor Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, osserva questi dati e fa delle considerazioni preoccupate.
Professore, da dove cominciare per tracciare il malessere, il disagio sociale di questo Paese?
Il fatto più preoccupante in questo momento mi sembra proprio il dato relativo ai prezzi. Quello che riguarda in modo particolare il cosiddetto “carrello della spesa”. Dentro questo “carrello” ci sono costi fondamentali, fissi, essenziali: affitto, luce, energia, trasporti, vitto. In questo caso si registra una crescita del 4,6%, che è il massimo dal 2008. Poi possiamo parlare dell’inflazione al 3,3% e di tante altre voci. Ma questo dato sul “carrello della spesa”, indica che si sta correndo verso un 5% di spese per larghi consumi, che tutte le famiglie, anche quelle a basso reddito, devono affrontare. Tradotto in altre parole, oltre alla pressione fiscale, che è già insostenibile, è arrivata un’altra tassa sui nostri redditi che equivale al 5%.
È questo che fotografa meglio di ogni altra parola il disagio sociale nel Paese. Oltre a una serie di casi di cronaca che fanno sempre più impressione, che danno la dimensione della disperazione in cui si trovano alcune persone.
Lo avevo già commentato un mese fa. Certi episodi di disperazione, come quello del suicidio o del tentato suicidio di alcuni piccoli imprenditori, personalmente mi sgomenta. Ma oggi, dopo un mese, devo aggiungere che di fronte a un tale disagio tanto preoccupante di questi fatti di cronaca, mi sembra anche incredibile la scarsa attenzione che si avverte verso questi casi, sia da parte politica, sia da parte mediatica. È come se si accettasse quasi un fatto fisiologico di disperazione umana e sociale. E questo è veramente incomprensibile.
C’è sempre la “parola d’ordine”, o forse solo la speranza, che si entri nella cosiddetta seconda fase, o fase della crescita.
Può darsi che io non riesca a comprenderla. Ma non si vede nulla che faccia pensare a una fase di crescita. Le persone in questo Paese devono da un lato far fronte a una pressione fiscale durissima, cominciata con la manovra di fine novembre. I redditi, con quella manovra, di fatto sono stati congelati. In più, tasse e prezzi che aumentano. È inevitabile che questo Paese sia in un momento di apprensione, di timore e in alcuni casi di disperazione. Io continuo a chiedermi di fronte a tutto questo come si può restare indifferenti.
A suo parere, la stima sui redditi elaborata dal Dipartimento delle Finanze è realistica?
Credo di si. Comunque ci sono altre ricerche che si possono fare. Ne sto osservando una che viene elaborata con molta cura da alcuni analisti in Lombardia. Ci sono veri e propri “picchi” in percentuale di redditi intorno ai 6.000 euro l’anno. Sono prevalentemente donne, anziane, magari anche ammalate e sole. Insomma, l’immagine complessiva è preoccupante e rischia di diventarlo ancora di più, perché, ripeto, all’orizzonte io non vedo meccanismi o processi di crescita. Basta mettere in fila la manovra dello scorso novembre sulle pensioni, la pressione fiscale, l’aumento dei prezzi e ci aggiungiamo il “fiscal compact” a livello europeo.
Si dice che questo governo sia ancora popolare, accettato dagli italiani.
Magari comincerà ad avere qualche ondeggiamento nei sondaggi. Ma in tutti i casi ci sono alcune situazioni che mi lasciano perplesso, per usare un eufemismo. Ma come si fa a varare la riforma delle pensioni e a non pensare che circa 300mila persone, secondo alcuni calcoli, di meno secondo altri, restano senza lavoro e senza pensione? Voglio dire: come si fa a non pensare a una cosa del genere? È un “governo di tecnici” e a questo dovrebbero pensarci.
A suo parere, questo “governo di tecnici”, legato al risanamento delle finanze e del bilancio, può reggere a un simile disagio che si sta diffondendo nel Paese?
Non riesco a fare delle previsioni. Certo che qui siamo legati a una specie di “mantra”, quello della crescita, che non si riesce a vedere, anche dopo il “pacchetto” delle liberalizzazioni. Credo che gli italiani stiano ancora aspettando cenni di crescita da questo “governo di tecnici”. A questo punto occorre fare un po’ di attenzione, perché la virtù che si è riconosciuta a Mario Monti rischia di trasformarsi in un vizio.
In che senso?
Proviamo a immaginare che il complesso di questa manovra, le misure di questo “governo dei tecnici” si rivelino inadeguate alla situazione. Che cosa succede quando Monti ha esaurito il suo mandato? Gli italiani hanno dato la fiducia a dei tecnici a dei supercompetenti, liberi dalle incrostazioni della politica, che dovrebbero risolvere questa complessa situazione. Ma se non la risolvono e poi se ne vanno non devono neppure rispondere della responsabilità di misure che potrebbero rivelarsi inadeguate. E questa virtù che gli è stata riconosciuta si trasformerebbe in un vizio dannoso.
(Gianluigi Da Rold)