Con sette anni di ritardo l’Italia raggiunge, buona ultima, il plotone dei Paesi che hanno acconsentito il bail-out (ovvero il salvataggio di Stato) di una fetta rilevante del sistema bancario. Nello stesso giorno i due istituti più importanti (lasciamo perdere per un attimo Mps, finora considerato il terzo dei grandi) hanno a malincuore acconsentito a garantire altri finanziamenti a termine (sessanta giorni) ad Alitalia, la compagnia di bandiera che rischia di affossare la carriera di James Hogan, considerato uno dei manager più brillanti del trasporto aereo prima di imbattersi in quella che fu l’impresa dei “capitani coraggiosi”. Intanto Vincent Bolloré ha completato, come da lui dichiarato, l’acquisto del 29,9% di Mediaset. La trincea del Piave si sposta presso la Consob e l’Agcom in attesa che il Tribunale possa rovesciare l’esito della sfida: strano destino per Silvio Berlusconi, dopo decenni passati a guerreggiare contro giudici ostili.
Al lungo elenco delle partite a rischio (per il Bel Paese) si sottrae per ora solo Unicredit. Forse. Perché l’aumento di capitale che sarà effettuato nel prossimo febbraio emergerà un azionariato nuovo, in cui avrà probabilmente un grosso ruolo la finanza transalpina. Non è certo per caso che Pioneer è finita nell’orbita di Amundi. Ma non lamentiamoci: le vendite di Unicredit, così come il prossimo aumento di capitale, “andava effettuato da tempo, da almeno 18 mesi”, ha spiegato il nuovo ad Jean Pierre Mustier arrivato sulla tolda di comando della banca di piazza Gae Aulenti solo in estate. Ci voleva uno come lui, estraneo agli equilibri di fondazioni e manager di casa nostra, per dare un taglio netto agli indugi di sempre.
Insomma, comunque la si rigiri, l’anno si chiude con (anche in Mediaset) un assedio a quel che resta del cosiddetto sistema Italia, povero di capitali, ma bisognoso di manutenzione sia ordinaria che straordinaria. Non è una novità imprevista: il Target 2, il dato che segnala l’andamento dei pagamenti nell’area euro, segnava uno sbilancio dell’Italia superiore anche al dato dei giorni del 2011/12, nel momento più drammatico per lo spread. Il dato è falsato dalla presenza degli acquisti del Qe (che ci stanno mantenendo in vita), ma registra anche gli acquisti delle famiglie di fondi e altre attività finanziarie fuori d’Italia e gli investimenti stranieri nelle imprese di casa nostra, ben più numerosi delle nostre sortite oltre frontiera. Non è nemmeno un dramma: se mancano investimenti italiani, ben vengano i quattrini altrui. Ma queste considerazioni non bastano ad assolvere la criminale lentezza con cui il sistema, a partire dalla politica, ha lasciato deteriorare la situazione del sistema bancario. Un fenomeno che arriva da lontano e che, con mossa truffaldina, è stata attribuita alla crisi generale dell’economia.
La frenata dal 2009 è stata senz’altro imponente, ma come dimenticare che i regolatori, a partire dalla Banca d’Italia, hanno fatto finta di non vedere che, per anni, istituti di grandi dimensioni come Popolare Vicenza o Veneto Banca hanno concesso impieghi soprattutto a fronte di azioni dell’istituto a un prezzo arbitrario, avallato da periti tanto autorevoli quanto compiacenti? E che dire dei governanti che, come è accaduto nel luglio scorso, hanno scelto di incassare il dividendo di Monte Paschi in moneta sonante (che la banca non aveva) invece di farsi pagare con azioni di nuovo conio? Dal 2010/11 in poi non c’è associazione, banchieri o ministri che non si sia ostinato a dire che “le banche italiane sono solide”. Nel frattempo si accumulavano sofferenza su impieghi che spesso risalivano all’epoca delle “vacche grasse”. In questo modo la ripresa dell’economia italiana si è rivelata impossibile. E sia ben chiaro, l’austerità tedesca c’entra poco, come dimostra la parallela ripresa dell’economia spagnola che ha avuto il coraggio di disseppellire buona parte degli scheletri nell’armadio.
È possibile che, dopo lo shock di Monte Paschi, la navicella italiana cambi passo. Grazie a nuovi manager, nuovi capitali e modelli di business sostenibili (e dolorosi sul piano occupazionale). Ma, si sa, per ripartire è necessario riflettere gli errori passati. Del resto, come dicevano i romani, Errare humanum…