“Il governo ha approvato il 5 aprile scorso un disegno di legge delega per riformare il settore della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo. Un disegno di legge approvato all’unanimità anche dalla Conferenza Stato-Regioni, a testimonianza dell’esigenza, particolarmente sentita e condivisa, di riformare la cooperazione per tener conto dei profondi mutamenti che hanno avuto luogo, sia negli assetti normativi che nella realtà della cooperazione internazionale, nei vent’anni ormai trascorsi dall’approvazione della legge 49 del 1987, la legge che, appunto, regola attualmente le attività della cooperazione italiana. Il testo del disegno di legge si trova ora all’esame della Commissione Esteri del Senato, che ha vagliato, oltre al nostro progetto, anche altre proposte di riforma presentate in sede parlamentare. Il governo ha partecipato attivamente ai lavori della Commissione per pervenire alla redazione di un testo di sintesi, un testo unificato che adesso dovrà essere discusso in vista della sua approvazione finale da parte del Parlamento”.
Massimo D’Alema fa il punto sullo stato della riforma della cooperazione allo sviluppo. Una riforma che va avanti – da ben dieci anni – non senza difficoltà.
“La cooperazione – spiega D’Alema – è una realtà complessa e una sua riforma richiede, oltre ad analisi di tipo tecnico, anche, e forse soprattutto, un confronto tra una pluralità di attori e tra diverse visioni politiche e diversi modelli organizzativi ed operativi. Ciò implica la necessità di confrontarsi con la società civile, le organizzazioni non governative, le regioni, gli enti locali e tutti coloro che siano coinvolti in attività di cooperazione. Un confronto opportuno e utile per disegnare una riforma in grado di assicurare il coordinamento e l’efficacia degli interventi. Noi ci siamo impegnati per una riforma della cooperazione che permetta di avere strumenti normativi ed operativi più adeguati. Credo che occorra al tempo stesso garantire un indirizzo politico unitario, e quindi mantenere un ruolo forte del ministero degli Esteri. Dobbiamo lavorare con una visione di lungo termine, con il massimo consenso bipartisan possibile e in tempi ragionevolmente rapidi”.
Quanto all’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), D’Alema ricorda che, seppure “nel 2006 l’Italia era in notevole ritardo rispetto agli impegni assunti internazionalmente – con un rapporto Aps/Pil pari solo allo 0,20% (contro lo 0,33% richiesto) -, la legge finanziaria 2007, pur nella difficile situazione finanziaria del paese, ha marcato una significativa inversione di tendenza, con un notevole incremento degli stanziamenti per gli aiuti allo sviluppo. I fondi del bilancio del ministero degli Affari esteri sono passati dai 392 milioni di euro del 2006 ai 600 milioni del 2007, cui bisogna poi aggiungere le risorse assegnate al ministero delle Finanze e quelle destinate dal governo all’azione di cooperazione in Afghanistan, Libano e Sud del Sudan. E con la finanziaria 2008 vi è stato un ulteriore incremento, che ha portato a regime a 730 milioni di euro gli stanziamenti del bilancio degli Esteri. Ciò indica con chiarezza la determinazione del governo a rispettare gli impegni assunti in sede Onu e Ue, impegni che prevedono un costante aumento della percentuale di Aps sul Pil al fine di raggiungere l’obiettivo dello 0,7% nel 2015”.
“Anche per l’Italia – continua D’Alema – come per tutti i paesi, la cooperazione è parte integrante della politica estera, anche se ciò non implica assolutamente che essa assuma un ruolo strumentale o sussidiario. Nel nostro progetto di riforma la cooperazione viene confermata come parte integrante e qualificante della politica estera italiana, il che non significa negarne o limitarne l’autonomia. La verità è che in un mondo sempre più complesso e interrelato dobbiamo procedere in modo coordinato, se vogliamo essere davvero efficaci e fare la differenza. D’altra parte, noi abbiamo fatto del rilancio della politica di aiuto allo sviluppo uno dei punti forti della nostra azione internazionale. Abbiamo assunto impegni rilevanti, nella convinzione che la lotta alla povertà e il sostegno allo sviluppo rappresentino condizioni fondamentali anche per una crescita equilibrata, per una riduzione delle disuguaglianze e poter governare in modo efficace e con misure accorte i flussi migratori e affrontare con una pluralità di strumenti il grande tema della sicurezza”.
Per un adeguato progetto di riforma resta fondamentale un confronto con le esperienze della altre cooperazioni nazionali. “In proposito – conclude D’Alema – la vice-ministra Sentinelli ha avuto numerosi incontri con i colleghi dei principali paesi occidentali. Inoltre, si è tenuto ampiamente conto di tutta l’esperienza maturata nel corso di questi vent’anni di vita della legge 49. Sono tutti elementi utili per reimpostare la cooperazione italiana. Mi pare che ci sia un ampio consenso su alcuni punti essenziali: il perseguimento di relazioni di vero e proprio partenariato; il mantenimento di un rapporto equilibrato tra componente multilaterale e bilaterale dell’aiuto; l’incremento dei crediti di aiuto, tenendo conto delle particolari situazioni dei paesi beneficiari; il proseguimento delle iniziative di cancellazione e riconversione del debito; l’intensificazione del coordinamento con la cooperazione decentrata; la valorizzazione dei rapporti con le comunità locali e con la società civile anche dei paesi partner. Se dovessi sintetizzare la nostra visione dell’aiuto allo sviluppo in una semplice formula, partirei forse proprio dal recupero del significato originario della parola “cooperazione”: “operare insieme”, in modo da contribuire a costruire relazioni tra i popoli fondate sui principi di interdipendenza e partenariato. Un processo di reciproco apprendimento e arricchimento, non solo per aiutare gli altri a crescere, ma anche per crescere noi stessi, come società civile, come istituzioni, come paese”.
Massimo D’Alema fa il punto sullo stato della riforma della cooperazione allo sviluppo. Una riforma che va avanti – da ben dieci anni – non senza difficoltà.
“La cooperazione – spiega D’Alema – è una realtà complessa e una sua riforma richiede, oltre ad analisi di tipo tecnico, anche, e forse soprattutto, un confronto tra una pluralità di attori e tra diverse visioni politiche e diversi modelli organizzativi ed operativi. Ciò implica la necessità di confrontarsi con la società civile, le organizzazioni non governative, le regioni, gli enti locali e tutti coloro che siano coinvolti in attività di cooperazione. Un confronto opportuno e utile per disegnare una riforma in grado di assicurare il coordinamento e l’efficacia degli interventi. Noi ci siamo impegnati per una riforma della cooperazione che permetta di avere strumenti normativi ed operativi più adeguati. Credo che occorra al tempo stesso garantire un indirizzo politico unitario, e quindi mantenere un ruolo forte del ministero degli Esteri. Dobbiamo lavorare con una visione di lungo termine, con il massimo consenso bipartisan possibile e in tempi ragionevolmente rapidi”.
Quanto all’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps), D’Alema ricorda che, seppure “nel 2006 l’Italia era in notevole ritardo rispetto agli impegni assunti internazionalmente – con un rapporto Aps/Pil pari solo allo 0,20% (contro lo 0,33% richiesto) -, la legge finanziaria 2007, pur nella difficile situazione finanziaria del paese, ha marcato una significativa inversione di tendenza, con un notevole incremento degli stanziamenti per gli aiuti allo sviluppo. I fondi del bilancio del ministero degli Affari esteri sono passati dai 392 milioni di euro del 2006 ai 600 milioni del 2007, cui bisogna poi aggiungere le risorse assegnate al ministero delle Finanze e quelle destinate dal governo all’azione di cooperazione in Afghanistan, Libano e Sud del Sudan. E con la finanziaria 2008 vi è stato un ulteriore incremento, che ha portato a regime a 730 milioni di euro gli stanziamenti del bilancio degli Esteri. Ciò indica con chiarezza la determinazione del governo a rispettare gli impegni assunti in sede Onu e Ue, impegni che prevedono un costante aumento della percentuale di Aps sul Pil al fine di raggiungere l’obiettivo dello 0,7% nel 2015”.
“Anche per l’Italia – continua D’Alema – come per tutti i paesi, la cooperazione è parte integrante della politica estera, anche se ciò non implica assolutamente che essa assuma un ruolo strumentale o sussidiario. Nel nostro progetto di riforma la cooperazione viene confermata come parte integrante e qualificante della politica estera italiana, il che non significa negarne o limitarne l’autonomia. La verità è che in un mondo sempre più complesso e interrelato dobbiamo procedere in modo coordinato, se vogliamo essere davvero efficaci e fare la differenza. D’altra parte, noi abbiamo fatto del rilancio della politica di aiuto allo sviluppo uno dei punti forti della nostra azione internazionale. Abbiamo assunto impegni rilevanti, nella convinzione che la lotta alla povertà e il sostegno allo sviluppo rappresentino condizioni fondamentali anche per una crescita equilibrata, per una riduzione delle disuguaglianze e poter governare in modo efficace e con misure accorte i flussi migratori e affrontare con una pluralità di strumenti il grande tema della sicurezza”.
Per un adeguato progetto di riforma resta fondamentale un confronto con le esperienze della altre cooperazioni nazionali. “In proposito – conclude D’Alema – la vice-ministra Sentinelli ha avuto numerosi incontri con i colleghi dei principali paesi occidentali. Inoltre, si è tenuto ampiamente conto di tutta l’esperienza maturata nel corso di questi vent’anni di vita della legge 49. Sono tutti elementi utili per reimpostare la cooperazione italiana. Mi pare che ci sia un ampio consenso su alcuni punti essenziali: il perseguimento di relazioni di vero e proprio partenariato; il mantenimento di un rapporto equilibrato tra componente multilaterale e bilaterale dell’aiuto; l’incremento dei crediti di aiuto, tenendo conto delle particolari situazioni dei paesi beneficiari; il proseguimento delle iniziative di cancellazione e riconversione del debito; l’intensificazione del coordinamento con la cooperazione decentrata; la valorizzazione dei rapporti con le comunità locali e con la società civile anche dei paesi partner. Se dovessi sintetizzare la nostra visione dell’aiuto allo sviluppo in una semplice formula, partirei forse proprio dal recupero del significato originario della parola “cooperazione”: “operare insieme”, in modo da contribuire a costruire relazioni tra i popoli fondate sui principi di interdipendenza e partenariato. Un processo di reciproco apprendimento e arricchimento, non solo per aiutare gli altri a crescere, ma anche per crescere noi stessi, come società civile, come istituzioni, come paese”.