Un semplice errore da correggere. E così definendo l’articolo 18, Bersani è riuscito a reinventare l’unità del Pd, ricostruita attorno ad un artifizio linguistico. Liquidando, cioè, una scelta politica invisa a metà del suo partito come banale inciampo da emendare a data da destinarsi. Sulla sostanza, quindi, tutti d’accordo su tutto. Almeno, è questo il segnale che dovrebbe emergere dall’unanimità con cui è stata approvata la relazione del segretario. Quindi? Le fratture di un tempo si sono ricomposte, l’unità di ieri non era di pura facciata? Macché. «E’ ovvio che era di pura facciata. Il Pd è un partito strutturalmente diviso. Fin dalla nascita è stato costituito da componenti e opzioni politiche differenti», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net, Fabrizio Rondolino, giornalista e scrittore. Perché, allora, l’unanimità di ieri? «Semplice – afferma: tra poco più di un mese ci saranno le elezioni amministrative». Non è detto, tuttavia, che la strategia sia vincente. «Così facendo il Pd non rinvia il nodo della questione: quale sinistra vuole rappresentare? Ce n’è una riformista, modernizzante, con tratti liberali, che non cerca tanto di garantire i soliti, quanto di creare opportunità per tutti; per intenderci, si tratta di quella fazione che fa riferimento a Letta, Veltroni, Ichino e a parte degli ex Popolari. Ce n’è un’altra, che concepisce se stessa come difesa di una trincea». In tal senso, la questione dell’articolo 18 è emblematica. «Tutela, infatti, una minoranza di lavoratori. La politica deve decidere se tutelare solo costoro o anche altri, quelli che stanno fuori dalle protezione del tempo indeterminato. Per questo, l’unità di ieri appare fasulla. Non si può pensare, in sostanza, di stare contemporaneamente con la Fornero e con la Camusso». A prescindere dalla bontà della strategia, il Pd vincerà le imminenti elezioni. «Non tanto perché ha una linea politica vincente, ma perché non esiste più il Pdl. Rischia, a questo punto, di inebriarsi di una vittoria derivante dal ko tecnico dell’avversario». Una volta archiviate le amministrative, i conflitti interni si ripresenteranno e potrebbero deflagrare. «Non credo che il governo Monti sia una semplice parentesi. Per impatto è paragonabile a Tangentopoli. Al termine della legislatura, quindi, il sistema politico, fondato su partiti che non hanno motivo di esistere perché assemblaggi di culture politiche eterogenee cementante dal berlusconismo e dall’antiberlusconismo, potrebbe implodere».
Buona parte degli scenari futuri potrebbero essere ridisegnati da un’eventuale nuova legge elettorale. «Se si introducesse un sistema proporzionale, il Pd resterebbe in vita. Sarebbe in grado di fare una campagna elettorale in nome dell’unità con la sinistra, tenendosi aperta l’ipotesi di un’alleanza con il centro; se si mantenesse, invece, come temo, il meccanismo maggioritario, la foto di Vasto diventerebbe un progetto politico. A quel punto, buona parte del Pd confluirebbe nel Terzo polo che, a sua volta, rappresenta embrionalmente il partito di Monti».
(Paolo Nessi)