“L’accordo nel Pd sul Senato dà vita a due grandi partiti nazionali in grado di attrarre come poli gravitazionali i rimasugli degli altri partiti. Da un lato il partito di Renzi sul quale convergono verdiniani e centristi, dall’altra quello di Salvini cui si avvicinano fittiani e Fratelli d’Italia”. È l’analisi di Paolo Franchi, commentatore politico del Corriere della Sera. La votazione finale sulla riforma costituzionale si terrà il 13 ottobre, ma per Pier Luigi Bersani l’accordo è già dato per scontato. “Volevamo un Senato elettivo e non costruito a tavolino – scrive l’ex segretario su Facebook -. Il Senato sarà elettivo e già con alcune funzioni di garanzia rafforzate. Chi parla di un cedimento di chi dissentiva ribalta semplicemente la realtà”.
Dopo che il Pd si è ricompattato sulla riforma, come cambieranno le dinamiche parlamentari?
Con questo accordo viene meno l’unico elemento di permanente difficoltà del governo e cioè la divisione del gruppo Pd al Senato. L’M5S nel frattempo ha parzialmente modificato il suo modo di fare opposizione, i suoi parlamentari lavorano di più su un progetto di lungo periodo, meno spettacolare. L’opposizione grillina inoltre per essere efficace aveva bisogno di una sponda all’interno del Pd che oggi non c’è più. E il quadro in Forza Italia è sotto gli occhi di tutti. E’ in corso un movimento migratorio di grande ampiezza, che coinvolge Verdini e compagni, il cui destino è il Pd. Andiamo verso un tendenziale monopartitismo, che nella storia italiana non c’è mai stato.
Il Pd torna a essere unito. Ma chi ha vinto, Renzi o Bersani?
Vince Renzi. Nel momento in cui la minoranza fa un passo o anche un mezzo passo indietro, il vincitore è per forza di cose Renzi. Se poi la minoranza Pd vuole appuntarsi al collo la medaglietta per il fatto che nel rush finale ha ottenuto alcune concessioni, è libera di farlo ma la sostanza della questione non cambia.
Che cosa accadrà invece nel centrodestra?
L’aspetto principale cui assistiamo è il processo di dissoluzione di Forza Italia. Quella parte del partito che non gravita intorno al Pd di Renzi, e in particolare l’ala fittiana, entrerà inevitabilmente nell’orbita della Lega. Il Carroccio proseguirà nel suo nuovo schema nazionale che gli ha dato Salvini e aggregherà delle forze di destra, non so quanto significative dal punto di vista elettorale. Sul piano dei parlamentari e del personale politico la Lega sarà il polo di attrazione alternativo al Pd.
Come si collocherà l’M5S rispetto a questi due “poli”?
Allo stato delle cose l’M5S è l’unica forza in grado di arrivare al ballottaggio e di essere poi il competitor di Renzi. A meno di cataclismi che oggi non riesco a immaginare, lo ritengo un percorso abbastanza scontato. Va infatti precisata una cosa. Quelli presenti all’opposizione sono perlopiù movimenti essenzialmente parlamentari, il cui peso specifico nel Paese è tutto da verificare. Insieme alla Lega, l’M5S è l’unica forza di opposizione.
L’M5S può insidiare il Pd renziano al ballottaggio?
In caso di ballottaggio bisognerà vedere quanta parte dell’elettorato leghista travaserà nell’M5S. Per quanto riguarda però l’orientamento degli elettori, bisognerà vedere come saranno cambiate le cose di qui a due o tre anni sul piano italiano ed europeo.
Sulla data del voto finale c’è stato un disaccordo tra governo e presidente del Senato, Pietro Grasso. E’ in atto uno scontro istituzionale?
Rispetto ad alcune forzature introdotte da Renzi e dalla Boschi, era anche naturale che Grasso reagisse, come quando ha detto: “Io non farò il boia della Costituzione”. Non sopravvaluterei però la portata di questo scontro. Sicuramente la parte renziana del Pd non adora Grasso, e probabilmente Grasso stesso non adora Renzi. Il tema su cui al momento bisogna ancora tenere gli occhi aperti è l’articolo 2, cioè la questione dell’elettività, anche se l’accordo trovato nel Pd depotenzia questa mina.
Come valuta invece il ruolo di Mattarella nella partita delle riforme?
E’ un ruolo abbastanza riservato, e che non si spiega soltanto con una personalità diversa da quella di Napolitano. Con l’avvento di Renzi si era aperto un processo di indirizzo del potere che, per motivi obiettivi che prescindevano anche dalla volontà delle parti, negli ultimi anni si era fortemente spostato in direzione del Quirinale. Adesso sia pure in forme diverse dal passato, lo stesso pendolo ritorna verso Palazzo Chigi. Il ruolo quindi di Mattarella torna a essere di garanzia e di attenzione, ma non c’è più il divampare di una crisi per un vuoto di potere politico e istituzionale. Mattarella fa quindi la sua parte in un quadro totalmente nuovo.
(Pietro Vernizzi)