La scorsa settimana il Governo ha dato concretezza a due importanti misure in favore della competitività del sistema produttivo. Dapprima, il ministero dell’Economia ha firmato, assieme a Confindustria, Abi, Cassa Depositi e Prestiti, IntesaSanpaolo, Unicredit e Monte dei Paschi l’atto costitutivo del “Fondo Italiano di Investimento”, una sgr che avrà il compito di gestire un fondo chiuso di un miliardo di euro specializzato nel finanziamento di imprese italiane in fase di sviluppo e con fatturato compreso tra i dieci e i cento milioni.
Il Presidente di Confindustria Marcegaglia stima che il bacino dei potenziali utenti sia rappresentato da circa 15mila imprese, per lo più del settore manifatturiero. Questo nuovo strumento dovrebbe favorire il rafforzamento del patrimonio delle nostre Pmi e nel contempo cercare di promuovere le aggregazioni, oggi esenziali per reggere la competizione globale.
Venerdì scorso poi il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto legge relativo al finanziamento del fondo di incentivi allo sviluppo economico a sostegno dei settori in crisi. Si tratta in questo caso di 300 milioni di euro, di cui 200 dovrebbero arrivare dal recupero di evasione fiscale e 100 da risorse del ministero dello Sviluppo economico. Il decreto prevede anche sgravi fiscali per 70 milioni al settore tessile e vari altri interventi per 50 milioni a supporto dei settori navale e aerospaziale e delle radiotelevisioni locali
Anche se si tratta di misure oggi quanto mai necessarie per puntellare le nostre piccole e medie imprese in un momento non facile della crisi, restano tuttavia molti dubbi sull’effettiva efficacia che potranno avere. Per quanto attiene agli incentivi, desta stupore la davvero limitata entità della cifra stanziata, così come non è del tutto chiaro quali siano stati i principi che hanno guidato la selezione dei settori beneficiati.
Per quanto poi riguarda il fondo di investimento, non si capisce bene quale sarà nei processi decisionali il ruolo delle piccole imprese (cioè dei soggetti che dovranno beneficiare del sostegno). Molto dipenderà dalle concrete modalità con cui il fondo opererà e con cui gli incentivi verranno erogati, ma tuttavia sembra che, dopo lunghi mesi di assenza, l’esecutivo abbia finalmente ripreso la strada del sostegno alla piccola imprenditorialità.
Il tracollo del commercio mondiale che si è verificato nei mesi successivi al crac della Lehman Brothers (e al contagio della crisi finanziaria che ne è seguito) ha colto i nostri imprenditori in una fase di grande capacità competitiva testimoniata dal fatto che, nel biennio precedente la crisi, la dinamica delle nostre esportazioni ha mantenuto un ritmo analogo a quello della Germania e superiore a quello medio della UE a 27. Secondo i dati della Fondazione Edison, nel 2007 per oltre 1.000 dei 5.517 prodotti in cui si può suddividere il commercio internazionale, l’Italia è risultata tra il primo e il terzo posto come Paese esportatore.
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Si tratta di cifre impressionanti che testimoniano una capacità imprenditoriale ben lungi dall’essere stata piegata dalla crisi. E soprattutto capace di sopravvivere a quella che è una peculiare contraddizione della nostra cultura. Da un lato siamo il Paese maggiormente caratterizzato dalla presenza di piccole imprese – che da sempre, costituiscono il perno insostituibile del nostro sistema economico per la loro capacità di competere e di creare ricchezza – e dall’altro da noi più che altrove il fenomeno imprenditoriale è criticato e messo sotto accusa.
Il piccolo imprenditore deve sempre giustificarsi da una serie di accuse che vanno dalla presunta (e perciò certa!) evasione fiscale, alla smania di arricchimento, sino allo sfruttamento dei lavoratori. E quando si interviene con misure a sostegno del nostro sistema produttivo c’è sempre chi intravede uno scambio, un favoritismo o peggio.
Fortunatamente ci sono segnali importanti di un’inversione di tendenza. Il cosiddetto Statuto delle imprese, formalmente il progetto di legge “Norme per la tutela della libertà d’impresa”, promosso da Raffaello Vignali e sottoscritto da 130 parlamentari di entrambi gli schieramenti e attualmente in discussione presso la Commissione Attività produttive della Camera, rappresenta una risposta culturale forte che si propone non solo di rafforzare le nostre imprese liberandole dei tanti ostacoli, soprattutto burocratici, che ancora le penalizzano ma anche di promuovere un nuovo rapporto tra imprese e opinione pubblica, valorizzando la libera iniziativa in una visione sussidiaria dei rapporti tra Stato, società e mercato.
Sono molte le misure specifiche previste nello Statuto dei lavoratori che ci sembrano particolarmente meritorie (e sulle quali ci proponiamo di tornare in un successivo articolo): vantaggi fiscali per gli utili reinvestiti, la creazione di un’agenzia per le micro, piccole e medie imprese, l’istituzione di una Commissione bicamerale con il compito di valutare preventivamente le norme aventi per oggetto le imprese. Certo è che rendere merito al valore economico e sociale delle nostre imprese è oggi un atto dovuto per la capacità dei nostri imprenditori di contribuire allo sviluppo del Paese.
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A ben vedere però forse la contraddizione di un Paese basato sulla piccola impresa che nello stesso tempo è sempre pronto a criticare chi crea ricchezza, è meno grave del previsto. Se ci si pensa bene, a essere in contraddizione sono il mondo reale di una produzione ancorata ai valori forti della famiglia e della responsabilità e il mondo fasullo descritto dalla pubblicità e dalla televisione, in cui il consumo è sempre sfrenato e lo sfruttamento della persona una regola di comportamento usuale.
Con questo mondo i nostri imprenditori hanno poco a che fare: preferiscono cooperare con i lavoratori anziché sfruttarli, si giocano i risparmi di una vita nelle loro aziende e hanno la responsabilità come guida dei comportamenti. Certo non tutti, c’è anche chi questi valori talvolta li scorda. Ma si tratta di eccezioni, non certo della norma. E la stragrande maggioranza dei nostri imprenditori, per quanto ha fatto e per quanto sta facendo, merita oggi di essere messa in condizione di competere ad armi pari in una sfida che non si preannuncia né facile né breve.