La situazione in Libia è drammatica. Le proteste e le rivolte già viste in Tunisia ed Egitto, nella Jamahiriya sono esplose, di fatto, in guerra civile. Nel mezzo di questi sconvolgimenti epocali, trovo quasi antipatico soffermarmi su improbabili problemi legati alla sicurezza delle forniture energetiche del nostro Paese. Tuttavia, visto quanto scritto in questi giorni, un po’ di chiarezza pare necessaria.
Per quel che concerne il gasdotto Greenstream, che collega direttamente Libia e Italia, per dirla alla Shakespeare, si sta facendo molto rumore per nulla. Anzitutto, bisogna ricordare che la capacità di trasporto non corrisponde al gas trasportato. Tutti i gasdotti vengono costruiti sulla necessità del trasporto orario e giornaliero dei giorni di domanda particolarmente elevata, ovvero d’inverno. Negli altri periodi dell’anno, i gasdotti sono utilizzati al di sotto della loro capacità massima, anche per riempire gli stoccaggi per l’inverno successivo.
Detto questo, la portata (massima) di Greenstream è di circa 25 milioni di metri cubi al giorno (Mmc/g), per un totale annuo teorico di circa 8,5 miliardi di metri cubi. In termini giornalieri, durante l’inverno il suo apporto massimo è circa del 6-8% dei consumi, mentre in termini annuali può arrivare al 10%, in funzione del fatto che d’estate il gas importato finisce negli stoccaggi.
Giusto per fare un paragone, nel 2010, il gasdotto che ci collega al Nord Europa (TENP), fu travolto da una frana in Svizzera e non funzionò per circa 5 mesi, nel periodo autunnale. L’ammanco giornaliero massimo fu di circa 50 Mmc/g: al di fuori della stampa specializzata, nessuno ne parlò e, ovviamente, non ci furono (importanti) ripercussioni sul sistema gas.
Da quanto appena descritto, si evince che il contributo del gas libico è minimo, e facilmente sostituibile grazie agli altri 5 punti di ingresso nella rete nazionale (2 terminal GNL e 3 gasdotti internazionali) e a un possibile (lieve) incremento della produzione interna. Per di più, l’ammanco libico consentirà ad alcuni operatori di ritirare quantità di gas russo già pagate lo scorso anno e non importate a causa del calo della domanda.
Tutto questo lungo discorso può essere riassunto da un semplice indice sulla sicurezza degli approvvigionamenti, elaborato dalla Commissione Europea. Su 27 Paesi, solo 5 hanno un indice di sicurezza più alto del nostro, e due di questi sono esportatori netti, ovvero Romania e Olanda.
Per quel che concerne il petrolio, la situazione non è diversa. La Libia è sì il nostro primo fornitore, ma la sua quota è intorno al 23%; inoltre, importiamo greggio da altri 25 Paesi. In caso di riduzione delle forniture libiche, approvvigionarsi da altre fonti sarebbe molto agevole, considerando anche che, a oggi, l’Opec ha una capacità inutilizzata pari a circa 4,5 milioni di barili giorno, quasi quattro volte l’intera produzione libica. Bisogna inoltre ricordare che l’Italia è un esportatore netto di prodotti raffinati: parte del greggio che arriva in Italia, insomma, è destinato, una volta lavorato, ad altri mercati. Va da sé che il peso netto del petrolio libico sui consumi interni netti è inferiore al 20%.
Insomma, al di là delle speculazioni sui mercati internazionali, il dramma libico non avrà ripercussioni sul nostro sistema energetico, che, nonostante le voci di tante Cassandre, è infrastrutturalmente adeguato per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti.
Discorso diverso se si utilizza il dramma libico come spunto per una più ampia riflessione sui consumi energetici primari del nostro Paese. Pur non essendoci rischi sulle forniture, è ben vero che oltre l’80% del consumo di energia primaria, in Italia, è alimentato dalle fonti fossili, ben più che in altri Paesi dell’Ue.
Per quale motivo? Certamente non per il riscaldamento, visto che, Francia a parte, quasi tutti i Paesi usano principalmente il metano. Le differenze, invece, si concentrano nel mix di produzione dell’energia elettrica, causa l’assenza di nucleare e, in maniera evidente, nei trasporti. È chiaro che il petrolio è l’unico vettore energetico per l’autotrazione in tutti i Paesi. Tuttavia, altri membri dell’Ue hanno puntato anche su sistemi alternativi, quali treno e idrovie, per muovere merci e persone.
Certamente, dunque, il nostro Paese può fare molto per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e lo può fare in molti modi. Chiaramente, queste sono scelte che spettano alla Politica. Tuttavia, invocare un cambio di paradigma per questioni di sicurezza degli approvvigionamenti è pretestuoso e sbagliato, oltre che irrispettoso dei drammatici eventi in atto. Sono altre le argomentazioni serie e lungimiranti per sostenere una riduzione dell’utilizzo di fonti fossili, argomentazioni che comprendono scelte di politica industriale e ambientale, che magari affronteremo in un prossimo articolo.