Avviso ai naviganti: il Colle è ufficialmente preoccupato. Per ora Mattarella si limita agli appelli all’unità, ma la piega che la situazione sta prendendo in Parlamento non lascia tranquillo l’inquilino del Quirinale, che il giorno del suo insediamento aveva chiesto ai giocatori di aiutare l’arbitro con un comportamento corretto.
Le parole pronunciate a Milano dal palco del congresso della Società Dante Alighieri sono parse a molti osservatori come un campanello d’allarme. Certo, per adesso la linea non cambia: ufficialmente il capo dello Stato non ha alcuna intenzione di esprimersi sul cammino delle riforme costituzionali, un percorso di cui sempre nel messaggio d’insediamento auspicava una conclusione positiva.
Di fatto però Mattarella segue passo passo l’iter parlamentare. E’ in costante contatto con i presidenti delle Camere e ha ricevuto negli ultimi giorni molti dei protagonisti: Rosato, Cicchitto, Fitto, Monti, Fassino, Padoan, Pannella, Meloni e Napolitano, solo per citare quelli di cui si è ufficialmente saputo attraverso comunicati della Presidenza della Repubblica negli ultimi trenta giorni. Poi i telefoni funzionano benissimo, specie fra il Quirinale e Palazzo Chigi. E il palazzo che fu dei Papi ha pure molte entrate.
In Mattarella però sta crescendo la preoccupazione per una contrapposizione frontale sempre più forte anche sui temi fondamentali, come la revisione della Costituzione. Da qui l’appello di Milano.
Parole volutamente generiche, ma indicative. Anzitutto perché rivolte esplicitamente anche ai politici. In secondo luogo perché così generiche non sono. “Per assicurare anche ai nostri figli un futuro di pace, di benessere, di felicità non serviranno persone con la testa volta all’indietro, condannati a camminare a ritroso”, ha detto il presidente. E’ in gioco il futuro dell’Italia, quindi, e questo dipende anche dal percorso delle riforme. Segue un invito a superare le contrapposizioni sterili, a far vincere l’Italia pensando al bene comune: “A volte — ha sottolineato il capo dello Stato — abbiamo trascurato, sciupato, persino talvolta deturpato i doni e i talenti ricevuti. Molto spesso — ecco forse l’autentico limite nazionale — non siamo riusciti a fare sistema, a giocare in squadra, presi, come sovente accade, dalle nostre divisioni, non di rado artificiose”. E così, sembra dire il presidente, finisce che a perdere è sempre l’Italia.
A chi si rivolge Mattarella? A tutti, ovviamente, com’è nella natura di un arbitro che deve (e vuole) rimanere imparziale. Parla sicuramente alle decine di milioni di emendamenti targati Calderoli (buoni solo per il Guinness dei primati), ma anche a una maggioranza che procede a testa bassa, che non dialoga, anzi fa disinvoltamente campagna acquisti fra le fila dell’opposizione, o presunta tale.
Mattarella vorrebbe altro, vorrebbe più dialogo fra maggioranza e opposizione, anche se riconosce il diritto della maggioranza di decidere. Ma l’errore delle modifiche costituzionali passate per un pugno di voti è già stato fatto dal centrosinistra nel 2001, e dal centrodestra nel 2005. Giustificano solo una ulteriore forzatura, quando i rapporti di forza dovessero ribaltarsi. Il centrodestra (o i 5 Stelle), una volta sloggiato Renzi da Palazzo Chigi, avrebbero tutte le ragioni a procedere a una nuova revisione della Costituzione a stretta maggioranza. Chi la fa, l’aspetti, insomma. Il Pd è avvisato.
Prima del discorso di Milano Mattarella aveva osservato sulle riforme un rigoroso silenzio, dispiegando la sua arma preferita, la moral suasion, l’intervento preventivo, discreto e dietro le quinte. In altri campi l’arma ha funzionato, su questo non a sufficienza, non quanto Mattarella avrebbe voluto. Ha funzionato, ad esempio inducendo il governo a ridurre drasticamente il ricorso ai decreti legge, evitando tra l’altro provvedimenti d’urgenza su materie delicate come la Rai o la riforma della scuola, su cui appellarsi all’urgenza era molto discutibile. Anche il ricorso alla questione di fiducia in parlamento ha visto una sensibile frenata.
Facile prevedere che la moral suasion del Quirinale aumenterà nelle prossime settimane, specie nei confronti del premier. E forse negli interventi pubblici qualcosa trapelerà. Chi lo descrive come silente, affibbiandogli nomignoli velenosi come “mummia sicula”, sbaglia bersaglio. Mattarella deve a Renzi la sua ascesa alla presidenza della Repubblica, ma non per questo potrà fargli sconti. La sua storia di uomo di stato, di giudice costituzionale e di professore di diritto parlamentare lo mette nella migliore condizione per giudicare quando sarà il momento di intervenire per richiamare governo e maggioranza a un diverso comportamento. Se qualcosa dovesse andare storto, magari su un voto segreto concesso in Senato dal presidente Grasso, nessuno a Palazzo Chigi potrebbe dire di non essere stato avvisato.