I migranti non hanno bisogno della nostra emozione, ma di un’esperienza oggettiva da parte nostra: la capacità di accoglierli nella nostra vita. E questo vale per i governi quanto per i singoli, certamente per tutti i cristiani. Monsignor Silvano Tommasi, Osservatore della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra ha scelto Padova per rilanciare la “pastorale dei migranti” di Papa Francesco. Il diplomatico vaticano è stato ospite dell’Associazione Santa Lucia, in un incontro presso lo Studio Teologico alla Basilica del Santo cui ha partecipato anche Giampaolo Silvestri (Fondazione Avsi).
“Nel 2014 – ha ricordato monsignor Tommasi – si sono contati nel mondo 60 milioni di migranti: il 10% è rifluito attraverso l’Europa e l’1% è entrato in Italia”. Le organizzazioni internazonali stanno registrando il numero più alto di rifugiati e richiedenti asilo dai tempi della seconda guerra mondiale. E le previsioni sono che il flusso continuerà. Dietro questi numeri, ci sono sono persone che scappano da guerre, estrema povertà, tirannie o politiche di oppressione o discriminazione. “Nessuno lascerebbe la propria patria se lì avesse una vita degna”, ha sottolineato Tommasi, che è subito andato al punto: “Papa Francesco nella sua semplicità ha sollecitato ogni parrocchia ad accogliere una persona per dire che bisogna fare tutto il possibile per restituire dignità alla vita di queste persone sofferenti”. Un messaggio pastorale, un appello al cristianesimo concreto, una visione umana e politica della storia in presa diretta.
“Bisogna prendere coscienza di questo fenomeno della mobilità umana”, ha insistito Tommasi. “L’informazione deve essere corretta e non deve solo coltivare le grandi emozioni ma essere oggettiva perchè questa non è un’invasione e l’accoglienza deve essere ordinata e generosa solo così questi eventi possono diventare un’opportunità. In Europa per ora ci sono molte proposte ma la volontà politica di affrontare il problema non è ancora chiara”. Né va dimenticato un altro profilo fondamentale di una civiltà evoluta come pretende giustamente di essere quella europea”
“Esiste un obbligo giuridico che dice che bisogna accogliere chi ha la vita minacciata. Non è così per chi cerca lavoro, anche qui però può esserci un grado di disperazione che va tenuto in grande considerazione. Prima bisogna rispettare gli accordi poi bisogna avere empatia nei confronti di queste persone e chiedersi razionalmente cosa fare”. E’ inevitabile che sorgano “lamentele, paure e sentimenti di difesa e ostilità da parte dei paesi di accoglienza, tutto ciò va affrontato ad occhi aperti ed è per questo che le migrazioni vanno gestite non solo giuridicamente ma anche all’interno di regole condivise come democrazia, accettazione del pluralismo e della libertà personale, uguaglianza della donna, libertà religiosa”.
Su uno sfondo più ampiamente storico, “il mondo occidentale non può non sentirsi in parte responsabile di ciò che sta accadendo. Troppo spesso ha contribuito a destabilizzare paesi come la Siria e l’Iraq con il suo intervento o non intervento”. Secondo Tommasi “è bene aver sempre presente che il primo diritto di queste persone che scappano dal loro paese è quello di poter tornare a casa loro e che il carico maggiore di questo fenomeno non lo portano i cosiddetti paesi ricchi ma bensì i paesi confinanti che sono paesi poveri o in via di sviluppo”.
Oltre un terzo dei rifugiati è ospitato da paesi confinanti: la notazione è giunta da Silvestri, che ha invitato a osservare la particolare situaizone venutasi a creare in Medio Oriente. La Turchia ospita circa 1.500 profughi siriani, altrettanti si trovano in Giordania. In Libano, un paese di 4 milioni di abitanti, i rifugiati, tra siriani e palestinesi, sono invece 1 milione e mezzo. Sempre Silvestri pone l’accento su un aspetto importante che non va dimenticato: un domani quando tornerà la pace queste persone devono poter tornare per ricostruire. Se vanno troppo lontano sarà molto difficile che in futuro decidano di tornare nelle loro case e allora il destino di questi paesi resterà a lungo instabile e incerto.
Da queste riflessioni è partito già da tempo il lavoro della Fondazione Avsi nei campi profughi in Siria e Libano dove sono in atto molti progetti per dare una vita degna a queste persone che attendono di tornare a casa. Quest’anno la “campagna tende” Avsi si concentrerà proprio sul fenomeno complesso e in continuo aumento dei profughi. I progetti sono tanti, sono già avviati e necessitano di fondi per poter progredire. In Siria e Libano oltre a progetti educativi, è in atto un’iniziativa chiamata “Cash for Work” dove i profughi siriani possono fare dei lavori retribuiti in modo da poter viver in modo dignitoso nell’attesa della fine della guerra.
Ad Erbil in Kurdistan ci sono progetti per la formazione di adulti fuggiti dalla piana di Ninive perchè trovino lavoro e non siano costretti ad andare troppo lontano col rischio di non tornare più. In Sud Sudan l’intervento di Avsi è rivolto alla prevenzione di un possibile esodo: Il paese è giovane, fortemente instabile con problemi di carestia che potenzialmente potrebbe collassare. Qui i progetti si rivolgono ai giovani, il futuro del paese, con progetti educativi e contro la malnutrizione.