Quella dei risparmi è una carta molto preziosa che si è giocato il fronte del Sì nella “partita” per il referendum costituzionale di domani, 4 dicembre. Nella stima dei risparmi “immateriali” è stata inserita l’eventuale riduzione del contenzioso tra Stato e Regioni dinanzi alla Corte costituzionale e l’effetto positivo che verrebbe generato dalla “sburocratizzazione” dell’Italia. I sostenitori della riforma, dunque, sono convinti che con le modifiche del Titolo V della Costituzione gli investitori saranno incentivati a portare risorse nel Paese, perché – come riportato dall’Avvenire – sarebbe più chiaro a chi spetta l’ultima parola e quindi chi decide. Secondo, invece, i sostenitori del No, con le modifiche del Titolo V il contenzioso non solo aumenterebbe, ma potrebbe nascere un nuovo conflitto, cioè quello tra Camera e Senato, quando bisognerà legiferare su materie per cui entrambe hanno diritti. Il dibattito si è fermato con il silenzio elettorale, ma le riflessioni degli elettori in tal senso proseguono.
L’obiettivo principale della riforma della Costituzione con la revisione del Titolo V è di definire con chiarezza le competenze di Stato e Regioni per limitare il “contenzioso” tra gli elnti e per garantire alla legge statale di prevalere rispetto all’autonomia regionale. In teoria, dunque, la revisione del Titolo V dovrebbe facilitare l’uniformità nell’erogazione dei servizi sanitari regionali, ma i sostenitori del No non sono affatto convinti che la vittoria del Sì al referendum produrrebbe benefici concreti in ambito sanitario. Secondo Maroni, Zaia e Toti – rispettivamente Governatori di Lombardia, Veneto e Liguria – si arresterebbe il processo di devoluzione di competenze e quindi i poteri in materia di salute verrebbero ricentralizzati. Il timore del gruppo di Governatori di centrodestra delle Regioni del Nord è che si metta fine così alla salvaguardia delle eccellenze regionali per una convergenza al ribasso.
L’aspetto della riforma della Costituzione, su cui si terrà il referendum, che tocca più da vicino i cittadini è la riforma del titolo V: questa è la tesi di Marco Leonardi, professore associato di economia politica alla Statale di Milano e consulente del Governo per la riforma del lavoro. L’eccessiva autonomia regionale è il vero nodo da sciogliere per modernizzare l’Italia. Secondo Leonardi la modifica del rapporto tra lo Stato e le regioni è importante “perché coinvolge tantissimi ambiti: l’energia, i trasporti, le telecomunicazioni, gli ordini professionali, lo sviluppo del turismo, l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, persino la previdenza integrativa”. Molto potrebbe cambiare per le politiche del lavoro, perché l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro potrebbe – secondo Leonardi – lavorare efficacemente se le competenze delle politiche attive fossero nelle mani dello Stato. Novità anche sulle politiche sociali, che vanno sul nazionale: “la carta per la povertà diventa uno strumento nazionale. Poi saranno i comuni a gestirli, certo, ma lo strumento è statale”, spiega Leonardi.
La Revisione del Titolo V del Referendum Costituzionale interessa e non poco i presidente delle Regioni dato che si discute in gran parte della revisione sulle competenze tra Stato e Regioni appunto, come sancito dalla riforma costituzionale a firma Boschi-Renzi. In questa campagna elettorale sono tanti i Governatori che sono intervenuti sui vari fronti presenti per fare promozione e per spiegare vantaggi e rischi di una riforma del genere sull’ordinamento tra le autonomie locali e lo stato centrale. Il presidente della Toscana Enrico Rossi, nonostante sfiderà il premier Renzi nel prossimo Congresso Pd, ha sempre sostenuto: «non stiamo discutendo del governo Renzi, né di Renzi. Stiamo discutendo di una riforma. C’è da approvare la legge di bilancio, e c’è bisogno che Renzi si impegni, e che tutti coloro che adesso già lo sostengono si impegnino a continuare a sostenerlo come presidente del Consiglio». Molto duro il commento di Roberto Maroni, schierato per il No dall’alto della Presidenza della Regione Lombardia: «la riforma determinerà un contenzioso fortissimo fra Stato e Regioni davanti alla Corte Costituzionale», mentre il collega di coalizione Giovanni Toti in Liguria afferma «stiamo cercando di fare un percorso virtuoso, l’appello è a non disperdere il patrimonio delle Regioni. Da ultimo guardiamo un altro esponente del fronte Sì, Debora Serracchiani presidente della Regione Friuli Venezia Giulia: «la riforma non si applica alle Regioni e Province autonome ma prevede l’intesa, che per la prima volta potremo utilizzare nel confronto con il Governo. Non sarà un caso se i più grandi costituzionalisti per il No hanno affermato che la riforma non va bene perché non tocca le Regioni speciali, che anzi vengono rafforzata».
La Revisione del Titolo V è forse il punto più ostico e confuso della riforma costituzionale in oggetto al referendum del 4 dicembre 2016: le competenze Stato / Regioni sono al centro della disputa tra il Sì e il No, con il fronte anti-Renzi che promuove la battaglia per bocciare la revisione del Titolo V per garantire e salvaguardare la Carta Costituzionale per come è scritta ora. Le competenze infatti per il Fronte del No devono rimanere divise in esclusive (solo dello Stato) e concorrenti (ovvero dove vi sia la concorrenza con le Regioni sulla base di alcuni principi fondamentali dettati dallo Stato). Cancellare questa forma, per gli anti-riforma, significa tornare indietro di 30 anni a prima della riforma che diede alle Regioni un maggior spazio di autonomia e gestione. Di contro, il Sì propone due punti chiari: «La riforma elimina le competenze “concorrenti” e stabilisce chiaramente il rapporto tra Stato e Regioni: finalmente vengono risolti i conflitti d’attribuzione, che per 15 anni hanno ingolfato la Corte Costituzionale e causato sprechi e ritardi per i cittadini e lavoratori, ponendo un grande freno allo sviluppo», riporta il comitato Basta un Sì. «Il nuovo Titolo V consentirà bollette più leggere e più efficienza. Le Regioni potranno avere maggiori competenze quando virtuose», anche se su questo punto lo scontro tra le due fazioni si è fatto fin da subito totale senza riuscire a trovare un punto di unione.
La riforma costituzionale, oggetto del referendum del prossimo 4 dicembre, prevede anche la modifica del Titolo V della Costituzione, cioè quella parte che regola i rapporti tra lo Stato e le autonomie locali. È il tema più complesso del disegno di legge di Maria Elena Boschi e anche per questo uno dei meno conosciuti. Il Titolo V della Costituzione è stato modificato già nel 2001, quando gli italiani approvarono con il 63,20% dei voti al referendum la legge che era stata precedentemente approvata dal Parlamento. In quell’occasione si riformò lo Stato in senso federalista: le Regioni ottennero maggiori competenze, ma non vi fu autonomia fiscale. Di conseguenza, le Regioni hanno avuto piena autonomia nella spesa e hanno avuto la facoltà di decidere il numero di consiglieri e assessori, oltre che i loro stipendi. Quella riforma ha generato, inoltre, molti contenziosi tra lo Stato e le autonomie locali. Secondo uno studio della Cgia di Mestre la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 ha prodotto una spesa di 89 miliardi in più nel decennio 2000-2010.
Cosa cambia con la revisione del Titolo V della Costituzione proposta dalla riforma costituzionale, per la quale andremo a votare al referendum il 4 dicembre? A differenza della riforma del 2001, quella promossa da Maria Elena Boschi promuove la centralizzazione di alcune competenze che lo Stato aveva concesso alle Regioni, inoltre vengono fissate alcune limitazioni sull’autonomia fiscale delle province e Regioni e viene stabilito un tetto sugli stipendi di consiglieri regionali, assessori e presidenti di giunta, che sarà equiparato a quello dei sindaci dei capoluoghi di regione. Viene confermata l’abolizione delle province, ma è previsto anche il superamento della frammentazione tra le competenze legislative statali e regionali. Il governo ha previsto anche una “clausola di supremazia” per intervenire in materie di competenza legislativa delle Regioni per tutelare l’interesse nazionale. Il nuovo Titolo V non si applica, però, alle Regioni a statuto speciale, previa intesa.