Quale sarà l’impatto della Brexit per l’Italia? È chiaro che ci saranno conseguenze economiche e i primi segnali si vedono già. Ci sono turbolenze finanziarie: la borsa di Milano perde più delle altre, lo spread torna a salire; turbolenze macroeconomiche e l’Italia a crescita zero virgola sarà penalizzata, mentre una svalutazione pesante e duratura della sterlina peggiorerà le esportazioni italiane nell’area britannica; turbolenze socio-culturali, pensiamo solo ai giovani che vanno a studiare in Gran Bretagna; turbolenze sportive, persino: i calciatori che giocano nella Premier League saranno ormai considerati extracomunitari. Ma l’impatto più importante è senza dubbio quello politico.
La prima riflessione riguarda l’inevitabile effetto imitativo che spinge le forze euroscettiche italiane a lanciare una campagna anti-europea il cui obiettivo vero è una santa alleanza anti-renziana. Il secondo interrogativo riguarda la politica economica europea. Il terzo è sul ruolo dell’Italia. Partiamo proprio da qui.
La convocazione a Berlino dei paesi fondatori ha riportato Roma in serie A. Ma la questione principale riguarda il futuro dell’Unione e il nocciolo duro. Senza Londra, può il governo candidarsi a fare da ponte, come vorrebbe, tra l’Europa a trazione gernanica, quella mediterranea e quella atlantica? Una rinata diplomazia dei due forni, anzi dei tre forni in questo caso, aiuta. Ma è inutile negare che anche nelle odierne condizioni la politica internazionale è guidata dall’irriverente domanda di Stalin: quante divisioni ha il Papa? In altre parole, dipende dai rapporti di forza in ogni campo. Ebbene, quanto è forte l’Italia?
In politica Renzi vede davanti a sé lo spettro di David Cameron, un primo ministro che si è giocato la faccia, il posto e il suo destino indicendo un referendum ad alta tensione, quando le condizioni gli suggerivano che avrebbe potuto vincerlo se non proprio a mani basse, senza dubbio con una ragionevole possibilità. La storia è piena di calcoli sbagliati da parte delle élites e il Brexit ne è una riprova. Anche Renzi in questi mesi è venuto via via perdendo la spinta propulsiva, ha ricevuto una batosta alle elezioni municipali e ciò ha generato la tendenza a formare un’innaturale coalizione anti-renziana che va dall’estrema destra all’estrema sinistra, mette insieme la protesta dal basso, il malessere sociale e i calcoli dall’alto, Masaniello, Guicciardini e Machiavelli, tre pezzi grossi, contro i quali è facile sfasciarsi la testa.
Se Renzi cade in autunno, l’Italia torna il Paese instabile e ingovernabile che difficilmente potrà far parte di qualsiasi nucleo o nocciolo riformatore dell’Unione europea. È vero, è un Paese fondatore, ma a quei tempi, i tempi di De Gasperi, Adenauer e Schumann, era più povero, ma non instabile né ingovernabile, nonostante all’opposizione ci fossero Togliatti e Nenni, non Grillo e Salvini.
In economia il debito eccessivo e la crescita troppo fiacca rendono davvero difficile all’Italia trarre vantaggio dall’uscita della Gran Bretagna. Alcuni sostengono che adesso la Germania mollerà sul Fiscal compact e questo concederà più margini di manovra; si fanno già i calcoli e si parla di 16 miliardi in un anno. Può darsi, ma finora lo spazio principale è stato offerto dalla politica monetaria, dal calo dei tassi e dalla riduzione dello spread. Tuttavia, non è stato utilizzato per ridurre il debito e aumentare la crescita. Dunque, il governo sarà costretto a rivedere i parametri della politica fiscale prima del referendum di ottobre, e il rischio è di vanificare buona parte delle promesse renziane.
Più in generale, l’Italia è bloccata dalla contraddizione tra l’esigenza di giocare un ruolo sulla scacchiera europea con le nuove regole del gioco (il che avrebbe bisogno di una strategia fondata su un grande accordo politico) e i calcoli dei singoli gruppi e partiti, se non delle fazioni interne ai partiti, che creano una paralizzante barriera di veti incrociati. Un contrasto di fondo tra il particolare e il fine comune, per dirla con i classici del pensiero politico italiano.
Speriamo che Renzi domani a Berlino riesca a convincere Angela Merkel che così non è, ma avrà bisogno di molto più che la sua parlantina.