Dopo La Caduta è uno dei drammi più controversi (e meno apprezzati) di Arthur Miller in cui un intellettuale riflette sul fallimento del proprio matrimonio e del suicidio della propria ex-moglie (i riferimenti alla sua vita con Marilyn Monroe sono fin troppo evidenti). Perché mi è venuto in mente la mattina del 26 giugno, mentre in Spagna stanno iniziando le operazioni di voto, nelle capitali europee si succedono concitate riunioni tra Capi di Stato e Capi di Governo, la finanza e le banche attendono con ansia la riapertura dei mercati lunedì 27 giugno, in Gran Bretagna si firmano petizioni per un nuovo referendum nella speranza che fornisca risultati opposti a quello del 23 giugno?
Il vecchio play del 1964 messo in scena da Elia Kazan mi è tornato alla mente perché l’Europa ha oggi, come non mai, l’esigenza su una riflessione su dove vuole andare nelle circostanze del secondo decennio del ventunesimo secolo, molto differenti da quelle in cui nel 1944, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi hanno scritto, nel confino di Ventotene, il Manifesto per un’Europa federale come obiettivo per superare le guerre che avevano insanguinato il Continente vecchio.
Tra Brexit, possibile Grexit, tracollo dei partiti tradizionali, crescita dei movimenti non convenzionali, quella che un tempo veniva chiamata la classe dirigente europea non dirige più nulla. Anche se eletta dal popolo sovrano, a essa lo stesso popolo sovrano che l’ha votata risponde con rabbia e frustrazione. Anche se vuole andare avanti verso un’unione ever closer, come delineato nei trattati ratificati dai 38 Parlamenti (solo il Belgio ne ha sette) dei 28 Stati membri, non sa come farlo.
Dopo aver promesso, sedici anni fa, l’area economica “più dinamica e più prospera dell’economia mondiale” ha perso negli ultimi otto anni il 20% circa del Pil, è minacciata da una stagnazione secolare, assediata da milioni di migranti, posta a rischio da un terrorismo ormai capillare, alle prese di con diseguaglianze ed esclusioni sociali sempre più gravi. È, quindi, in una situazione non sostenibile. Non può neanche tornare indietro perché si è avviluppata in una rete di lacci, nodi e catene (i cosiddetti acquis communautaires) sempre più contorta, oltre che sempre più stretta. Per queste ragioni, c’è uno scollamento sempre più grave tra la classe dirigente e una proporzione crescente della popolazione europea.
Se l’Unione europea vuole sopravvivere (evitando un progressivo sgretolamento) deve mutare obiettivi (i soli e i veri elementi di coesione) e assetto istituzionale. Alle generazioni che oggi hanno quaranta o anche cinquanta anni, l’utopia di Colorni, Spinelli e Rossi e le iniziative di Monnet, Adenauer, Schumann, De Gasperi per dare a esse corpo, non significano nulla. Mordono invece la disoccupazione, l’angoscia per il presente e il futuro di se stessi e dei propri figli, la fine dell’ascensore sociale, l’insicurezza personale, un’immigrazione in continua crescita (a ragione di inarrestabili pressioni demografiche). E via discorrendo.
Dopo la caduta (la Brexit e i successi elettorali dei movimenti antisistemici, populistici, euroscettici e anti-europei), gli Stati europei devono trovare una nuova base di obiettivi comuni e di consenso che guardi ai problemi di oggi (non a quelli di settanta anni fa) e alle prospettive delle nuove generazioni.
Potrebbe essere una serie di accordi intergovernativi sui temi indicati in precedenza, tra gruppi di Stati oggi aderenti all’Ue, quindi a geometria variabile. Un’Ue profondamente riformata nel suo quadro istituzionale potrebbe fare da cornice a tali accordi intergovernativi e assicurarne l’attuazione. Indubbiamente – non facciamoci illusioni – il Paese che meglio ha retto alla crisi e ha maggiore potenziale economico (la Repubblica Federale Tedesca) avrebbe maggiori responsabilità di altri e ne assumerebbe la leadership.
Non facciamoci, però, illusioni. La Germania di oggi ha, nel consesso europeo, un ruolo e un dilemma analogo a quello della Germania di Bismarck: da un lato, è tanto grande che ogni sua mossa si riverbera su tutto il consesso, da un altro, non è abbastanza grande da prendersi carico, da sola, di tutti i problemi europei.