Il premier Mario Monti parla da Bruxelles e difende l’operato del suo governo, austerità compresa. La francese Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, lancia invece un messaggio che sembra opposto, quasi l’esatto contrario: “Basta austerità, così non uscirete dalla crisi”. E la stessa Lagarde aggiunge che si devono dare altri due anni di tempo alla Grecia. Sembrano due discorsi in aperta contraddizione tra di loro. Monti rivendica il pareggio strutturale per il 2013, le manovre del suo Governo, il risanamento. Ma per tutto quello che ha fatto il Governo in questo anno di vita c’è il contraltare che offrono le stime di perdita del Pil (circa il 2,4%), l’aumento della pressione fiscale di più di quattro punti, il crollo dei consumi, l’aumento della disoccupazione. Eppure, nonostante le parole e il tono differente, la contraddizione è solo apparente e in realtà non dovrebbe esserci. Emilio Colombo, docente di Economia Internazionale nell’Università Bicocca di Milano spiega il differente piano dei due discorsi: «Occorre fare una distinzione. Monti parla ad Angela Merkel, mentre Christine Lagarde parla a tutta l’Europa, soprattutto ai “falchi” del rigore dell’Europa, cioè la Finlandia, l’Olanda. Credo che neppure la Merkel sia del tutto sulla linea del rigore, che abbia compreso che c’è il rischio di un avvitamento per alcuni paesi. Il problema è che l’anno prossimo in Germania ci sono le elezioni e quindi il Cancelliere tedesco deve tener conto del suo elettorato che ha un’immagine non positiva dell’Italia e di tutto il Sud dell’Europa».
Secondo lei, in questi messaggi ci sono due piani diversi a questo punto.
Non c’è dubbio. Mario Monti ha fatto bene a rivendicare quello che ha fatto il suo Governo, anche se indubbiamente la situazione è diventata pesante perché il Pil non cresce. Ma intanto ha tappato i buchi, che erano tanti, ha dimostrato che un Paese come l’Italia ha imboccato una strada di risanamento finanziario che nessuno pensava che potesse realizzare. Quale poteva essere l’alternativa a questa politica di rigore che ha realizzato Monti? Una sola, il default. Quindi Monti può rivendicare di fronte al cancelliere tedesco l’operato virtuoso dell’Italia.
Ma intanto la crescita non si vede.
Le politiche di crescita non inventano in breve tempo. È evidente che comunque si devono intraprendere, che occorre mettere in atto queste politiche di crescita, perché altrimenti per alcuni paesi la situazione può effettivamente avvitarsi. Con una politica di rigore e senza crescita, alla fine il rapporto tra debito e Pil non si modifica, può anche peggiorare e non riduce neppure gli interessi sul debito. Tutto questo si vede ormai chiaramente.
Ma allora come si può uscire da una simile situazione che vede un’austerità plumbea e una politica di crescita che va programmata nel tempo?
Qui si inserisce il discorso della Lagarde. Il problema vero è che una politica di crescita deve riguardare tutta l’Europa e quindi deve avere una coesione da parte di tutti i Paesi europei, una coesione reale e consistente. La differenza tra i due piani di discorso è proprio questa. L’Italia ha dimostrato la sua capacità, ora tocca agli europei dare la dimostrazione di una coesione convincente per mettere in atto politiche che preparino la crescita. Capisco che se si fa un semplice rapporto tra i due discorsi si genera un equivoco. Ma non è così. Ed è giusto che Monti abbia fatto questo discorso e la Lagarde abbia fatto il suo discorso.
La sostanza quindi è che i due discorsi potrebbero essere complementari a livello politico.
Penso che sia proprio così. Il risanamento dei conti italiani operato dal “governo dei tecnici” è la dimostrazione che l’Italia ha rispettato scrupolosamente i suoi impegni, quindi nessuno può dire qualche cosa all’Italia. D’altro canto, su una platea molta più vasta, Christine Lagarde invita i “falchi” del rigore di tutta Europa a prendere atto delle operazioni di risanamento e a mutare il loro atteggiamento, promuovendo quella coesione indispensabile per il rilancio e la crescita dell’Europa che può avvenire nel giro di qualche anno.
(Gianluigi Da Rold)