«È come se fosse scoppiata una guerra. Oggi ci sono bombardamenti che un anno fa non c’erano. La prima cosa da fare è dare l’allarme e correre nei rifugi anti-aerei. In Italia, invece, si pretende di stare all’aperto mentre cadono le bombe, mentre andrebbero prese decisioni da tempi di guerra, perché rispetto a un anno fa ora lo spread Btp-Bund viaggia sempre intorno ai 400 punti base, superando quello tra titoli di stato spagnoli e tedeschi. Siamo diventati il pungiball europeo al posto della Spagna, che fino a pochi mesi fa sembrava un Paese sul lastrico e adesso pare già uscito dalla crisi, mentre noi ci siamo dentro in pieno. Dobbiamo chiederci come mai è successo questo». Usa un’immagine bellica il Professor Marco Fortis, economista e Vicepresidente della Fondazione Edison, per descrivere il cambiamento di scenario avvenuto nel nostro Paese rispetto a meno di un anno fa, quando si pensava e scriveva che una crisi o un cambio di governo (ipotesi che si paventano anche in queste ore) potevano rivelarsi letali per l’Italia. La metafora della guerra sembra funzionare anche per descrivere lo scenario dei rapporti con i partner europei, visti gli ultimatum e le inopportune risate rivolte verso il nostro Paese dall’estero.
Professore, cosa sta succedendo in Italia? La situazione a livello economico è davvero così grave?
Il vero problema è che l’Italia appare come un vaso di ferro che ha i manici di coccio, nel senso che mentre l’economia dà segnali molto buoni, la nostra credibilità internazionale ha subito una caduta verticale, a causa della mancanza di autorevolezza del governo. Tanto più che ci troviamo nel pieno di una guerra finanziaria dove tutti cercano di apparire più bravi degli altri per poter collocare i propri titoli di stato a scapito di quelli altrui. E cosi ci tocca sentir dire che l’Italia è il vero problema dell’Europa. Questo è veramente inaccettabile. Credo quindi che sia da stigmatizzare sia l’atteggiamento irresponsabile di Merkel e Sarkozy, che cercano di buttare una croce sull’Italia per nascondere i loro problemi, sia l’atteggiamento da dilettanti allo sbaraglio che sta offrendo in questo momento il nostro esecutivo.
Di che cosa è colpevole in particolare il governo?
Sapendo che hai tutti i riflettori puntati addosso non può non prendere decisioni rapide e importanti. Visto che ha già approvato la manovra finanziaria che mette al sicuro i conti pubblici, ora potrebbe mettere in campo qualche iniziativa ai fini della crescita, come quella di ridurre gli oneri contributivi non pensionistici per le imprese (che potrebbero portare a un aumento del Pil dello 0,3-0,4%), così come attivare qualche iniziativa in tema di liberalizzazioni o abbassare la soglia dei pagamenti in contanti a 500 euro per cercare di limitare l’evasione fiscale. Non mi pare che si tratti di misure così sconvolgenti da non poter essere adottate.
Il punto critico sembra essere rappresentato però dalle pensioni.
La riforma potrebbe essere fatta meglio e con costi minori rispetto agli altri paesi, avendo per primi dei risultati importanti in termini di minor debito pubblico futuro e recupero di risorse che potrebbero essere destinate ad altri scopi. Se non altro, per esempio, per aiutare i giovani e tutti coloro che sono svantaggiati da un sistema pensionistico che in fondo è stato costruito per mantenere delle caste di privilegiati che hanno smesso di lavorare anche prima di aver compiuto 50 anni.
Prima ha parlato di atteggiamento irresponsabile da parte dei capi di Stato di Francia e Germania. Pensa che stiano puntando apposta il dito contro l’Italia?
Sicuramente stanno esagerando e giostrando sulle nostre disgrazie per nascondere le loro, in particolare le condizioni delle banche che sembrano degli zombie. Se Parigi dovesse salvare le proprie, il suo rapporto debito/Pil supererebbe quello dell’Italia. La Francia, inoltre, cresce meno di noi: nel secondo trimestre del 2011 ha avuto una crescita zero del Pil, mentre per noi è stata dello 0,3%. Bisognerebbe quindi avere la necessaria autorevolezza per ribattere alle critiche infondate, perché non possiamo essere trattati come i greci. Credo che siamo arrivati a un momento topico: o il governo dimostra di essere in grado di prendere decisioni importanti, al limite rischiando di essere abbandonato dalla propria maggioranza, ma almeno salvando la faccia, oppure si deve andare a elezioni anticipate o affidare a Napolitano il compito di prendere una decisione, magari per arrivare a un governo tecnico o di larghe intese per gestire l’emergenza.
Se i numeri della nostra economia non sono inferiori a quelli degli altri paesi europei, non potrebbe bastare “sbandierarli” per recuperare credibilità?
Credo che sia inutile farsi illusioni: gli investitori internazionali stanno dicendo che non abbiamo più credibilità, ma non che l’economia italiana è in condizioni pietose. Stanno dicendo che il sistema è mal governato. Occorre un cambio di passo deciso, ma dubito che entro la scadenza dettata dall’Ue arriveranno riforme così rilevanti da tacitare tutti. Il problema sono quei veti incrociati interni alla maggioranza e quelle promesse della campagna elettorale che non si possono tradire a non permettere alcuna decisione importante. Penso che gran parte dell’elettorato di centrodestra (anche al Nord) sia oggi disposta a fare sacrifici se le vengono spiegate le ragioni per cui le sono richiesti.
Quale sarebbe il costo per l’economia reale derivante dal perdurare di una situazione di questo tipo, senza che vengano adottate misure o riforme?
Quella parte di Paese che ce l’ha sempre fatta con i propri mezzi, quella delle imprese ben capitalizzate che non hanno bisogno di finanziamenti delle banche per investire e crescere e che sta trainando il nostro export, andrà avanti. Però c’è una parte di imprese un po’ meno forti che non possiamo trascurare e che ha bisogno dei finanziamenti delle banche. Una crisi dei debiti sovrani e bancari come quella stiamo vivendo, con i problemi legati alle ricapitalizzazione delle banche e ai nuovi coefficienti patrimoniali, ci sta portando a un nuovo credit crunch. Dato che abbiamo già avuto una “pelatura” di aziende marginali con lo scoppio della crisi, se ora facessimo “scremare” un’ulteriore fetta di imprese che non riescono più a finanziarsi finiremmo col fare harakiri.
(Lorenzo Torrisi)