Le cuspidi del capitalismo mondiale spesso si interrogano sulla possibile crisi e fine del capitalismo. Laddove si ritiene di essere seduti sulla cima del mondo, ci si pongono sempre i problemi ultimi. In primis il problema ultimo della sopravvivenza del potere. Il potere unisce con il suo anello l’economia alla politica ed è stata sempre la scelta politica in questi ultimi due secoli a rimandare la fine del capitalismo. Da Bismarck a Roosevelt al laburismo postbellico sino all’accordo tra la Cina e gli Usa, sotto la regia di Kissinger, per finire con la trappola afgana in cui sprofondò l’Unione Sovietica, è sempre stata la politica a salvare il capitalismo. L’economia non salva se stessa da sola, perché anch’essa nasce dal ventre della scelta politica.
Questa assurdità marxista e liberista, l’assurdità dell’economia che fonda se stessa, è invece oggi divenuta la religione dominante dell’europeismo. Le borghesie compradore che dirigono l’Europa, ossia le borghesie transnazionali che hanno abbandonato le patrie e quindi le comunità politiche, sprofondando nell’illusione che si possa governare il mondo con l’economia e la tecnocrazia, sono giunte al punto finale e drammatico della loro stessa esistenza e con essa anche dell’esistenza dell’Europa dell’Unione Europea. Non dell’Europa giudaico-cristiana di Carlo Magno, ma di quell’Europa funzionalista che sottrae sovranità e comunità senza dar nulla in cambio ai popoli se non quella che Walter Benjamin chiamava la religione del capitalismo, che si è trasfigurata in religione dell’europeismo tecnocratico.
Non è un caso che la piramide di questa religione atea sia franata per le scosse telluriche del vulcano su cui è seduta l’Europa dell’Unione Europea. Il vulcano dell’avanzata demografica ed economica africana e medio-orientale. Problema assolutamente politico e non economico e che può essere risolto solo con la politica e non con l’economia.
Ma per l’Europa dell’Unione Europea, di Jean Monet, di Maastricht, di Lisbona, del Fiscal compact e in definitiva dell’ordoliberismus dispiegato, per quest’Europa dell’Unione Europea la politica non esiste. Ma questo vuoto va colmato e l’unica materia spirituale che può colmare i vuoti della politica è quella della tradizione, come ci insegnava il pensatore più attuale oggi: Edmund Burke. Di qui la disgregazione europea, in un sommovimento simile a quello che si produsse tra il Congresso di Vienna nel 1815 e la crisi orleanista del 1830, e poi quella rivoluzionaria del 1848. Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte fu una tragedia e la sconfitta della rivoluzione democratica europea arrestò il moto di progresso non solo dell’Europa ma di tutto il mondo.
Oggi tutti cercano una soluzione economica alla crisi europea e pensano che far fare all’Europa intera la fine di una Grecia da cui la Troika si allontana tronfia e sazia, sia la soluzione, mentre invece altro non è che procrastinare la crisi imminente che già si sta volgendo sotto i nostri occhi. Sono le grandi migrazioni dinanzi alle quali l’Europa ordoliberista ha perso la testa e ha disvelato la sua incapacità. Esse altro non fanno che accelerare la crisi.
Ancora una volta la crisi europea inizia là nelle pianure dei piccoli Stati della Mitteleuropa su cui Istavar Bibò ha scritto pagine memorabili che nessuno legge più. Il crollo dell’impero austro-ungarico sotto il maglio della potenza prussiana e del martello russo di nuovo fa sentire il suo rimbombo. L’odierna Francia tecnocratica è paralizzata e incapace di trovare una soluzione politica a se stessa e all’Europa. L’Italia si sta liberando dai ceppi che per un quarantennio l’hanno consegnata alla sua borghesia compradora, che non conosce né patria né misericordia. Di quest’ultima, però, parla tutti i giorni senza comprendere che pietà l’è morta.