Già si erano visti alcuni segnali preoccupanti prima di Pasqua, con la Borsa di Milano tornata ai livelli di gennaio e lo spread tra Btp e Bund in costante aumento dopo la discesa sotto 300 punti base di tre settimane fa. Ieri però a Piazza Affari c’è stato un vero e proprio crollo del Ftse Mib, che ha chiuso al -4,98% (maglia nera d’Europa), mentre lo spread ha avuto un’impennata che lo ha portato a toccare i 400 punti base. Una situazione non facile da interpretare: sembrava che dopo il cambio di governo, la manovra lacrime e sangue e le operazioni straordinarie della Bce il peggio fosse alle spalle. Per meglio capire lo scenario che ci troviamo di fronte abbiamo interpellato l’economista Giulio Sapelli, Docente di Storia economica all’Università di Milano.
Professore, come spiega questo progressivo peggioramento degli indici provenienti dai mercati?
C’è stato un cambiamento nel contesto internazionale: il commercio mondiale è in calo; la Cina non ha più buone performance economiche e si avvicina al cambio dei vertici di potere con la successione a Hu Jintao e Wen Jiabao; il Brasile è in difficoltà per la forte sovravalutazione del Real e comincia a manifestare, come altri paesi sudamericani, istanze protezioniste; le tensioni in Iran destano ancora preoccupazione sul prezzo del petrolio. Si tratta di situazioni che hanno indebolito il contesto economico internazionale.
L’Europa sembra però soffrire in modo particolare.
Vedendo le analisi dei grandi fondi di investimento internazionali pare essere tornata la paura sulla tenuta dell’euro, ma con una novità: tutti sottolineano il fatto che il pericolo non è tanto il debito pubblico, quanto l’assenza di crescita. Paradossalmente, le politiche che gli stessi fondi avevano preconizzato adesso si rivelano le meno idonee a stimolare la crescita. C’è quindi un andamento a zig-zag di coloro che detengono le leve dei mercati internazionali. In generale, noto comunque profonda sfiducia circa la continuità della crescita del commercio mondiale e la tenuta dell’euro.
Questo nuovo allarme sull’euro le sembra più serio dei precedenti?
È chiaro che senza una riforma dei Trattati di Maastricht e della “Bundesbank 2”, ovvero della Bce, senza un progresso nell’unità politica e dei sistemi fiscali, un euro in bassa crescita o addirittura in decrescita è destinato a non reggere più: tutti vedrebbero nel ritorno alle monete nazionali una soluzione positiva. In ogni caso mi sembra che si ripeta un atteggiamento tipico dei grandi investitori internazionali: per loro l’importante è giocare alla speculazione sull’euro e per questo di volta in volta tirano fuori gli argomenti che gli sembrano più adatti per farlo.
Secondo lei, l’euro resisterà?
È presto per dirlo. Se i socialisti vincessero in Francia, se la Spd mandasse via la Merkel, tutto potrebbe cambiare. Certamente più il tempo passa, più aumentano le difficoltà della moneta unica. Penso poi che gli Usa faranno di tutto per mantenere l’euro, soprattutto per un fatto geostrategico: non vogliono guai in Europa con tutto quello che sta succedendo nel Nord Africa.
Quel che sta accadendo dimostra che le politiche di rigore sono un errore?
Io che non sono nessuno l’avevo detto anni fa; anche altri molto più bravi di me l’hanno detto: quel tipo di politica non poteva che portarci a capire che il problema di fondo è la crescita e che è necessaria un po’ di inflazione. Perché se continuiamo con questa politica deflazionistica non andiamo da nessuna parte: i prezzi crolleranno e i debiti pubblici non potranno che aumentare. Adesso sembra che se ne siano accorti anche gli investitori. Non che non lo sapessero prima, ma allora gli interessava compiere le loro colossali speculazioni sui grandi collocamenti dei titoli di stato.
E la scelta dell’Italia di raggiungere il pareggio di bilancio entro l’anno prossimo?
È un’assoluta follia. Così come l’idea di voler mettere il pareggio di bilancio in Costituzione è una stupidaggine. Neanche Einaudi, che su questo aveva idee molto rigide, lo farebbe in simili condizioni.
Ma a questo punto cosa dovremmo fare come Italia?
Dovremmo rinegoziare, battere i pugni sul tavolo europeo. Non credo che possa farlo il governo Monti. Devono farlo le forze politiche. Il Pd fa parte dell’Internazionale socialista, che dovrebbe chiedere la rinegoziazione di Maastricht. In questo tatticamente insieme alle destre, che in fondo chiedono la stessa cosa.
Perché non potrebbe farlo il Governo?
Monti è una sorta di “profeta” del liberismo deflazionista. Mi sembra difficile che possa chiedere una politica diversa. In ogni caso mi pare che tutta questa fiducia che i mercati avrebbero dovuto avere in lui si stia liquefacendo.
Nei giorni scorsi è sembrato che anche con la grande stampa internazionale (basta pensare a Financial Times e Wall Street Journal) la “luna di miele” sia finita.
Ammesso che sia mai veramente cominciata, se non come una politica degli uffici stampa. I giornali cinesi, per esempio, non si sono accorti della sua visita a Pechino. E il più importante ha sbagliato il suo nome, chiamandolo Tremonti. Nessuno ha riportato questa notizia, ma basta verificare le agenzie cinesi per accorgersene.
Si dice che il governo di Monti sia stato voluto dai mercati, ora sembra che invece non lo vogliano più. Come si spiega?
Non è che i mercati non lo vogliono più. Il loro andamento non dipende certo dal fatto che ci sia al governo Monti o meno. Dipende da condizioni strutturali dell’economia che non mutano in un così breve tempo. Sì, si può dare qualche cenno in più di stabilità e serietà: un esecutivo tecnico appoggiato da tutti i principali partiti è meglio di un governo che si reggeva su una maggioranza risicata. Questo paga, ma non basta. Come vediamo nel caso della Spagna, dove Rajoy ha una maggioranza stabile, ma il Paese resta sotto i colpi dell’oligopolio finanziario internazionale, che vuole realizzare enormi profitti speculando sugli acquisti di titoli di stato.
Facciamo un passo indietro: prima ha detto che per dare una svolta dovremmo battere i pugni sul tavolo europeo. Con quale scopo?
Rinegoziare il Trattato di Maastricht che ci sta portando alla rovina. Come Italia dal punto di vista del deficit siamo messi beni, il nostro punto debole è il debito, che però si cura in 20 anni, a meno che non arrivi un’inflazione che lo cura in 5 anni. Bisogna fare una politica leggermente inflazionistica che risani i debiti. Se non si fa questo siamo morti.
Non le sembra che tutto questo tema sia stato un po’ trascurato dalla grande stampa nazionale?
A parte chi ha riportato un’intervista già pubblicata sul Financial Times a Kenneth Rogoff, che sostiene sia necessario decidere tra una fine traumatica e una negoziata dell’euro, la questione è passata sotto silenzio. Anche perché il caso della Lega ha fatto sì che non ci fosse l’attenzione necessaria su questo tema.
(Lorenzo Torrisi)