Ci mancava solo il caso Marino a rendere ancora più scivolosa una situazione già di per sé delicata e complessa. Della selva di difficoltà che si trova di fronte Matteo Renzi si rende perfettamente conto, ma reagisce facendo quello che sa far meglio, rilanciare la posta sempre più su.
Va in televisione il premier segretario, sceglie il salotto più comodo per lui, quello di Fabio Fazio, ma si fa guardingo, non si sbraccia in proclami roboanti. Si produce però nella conferma del suo ormai lunghissimo rosario di promesse. L’implosione della giunta di Roma ha lasciato il segno, non può nasconderlo, ma delude quanti pensano che questo possa essere il “de profundis” delle primarie. Renzi infatti scandisce la convinzione che non potrà essere lui da solo a scegliere il portabandiera del Pd alle elezioni di primavera: “sceglieranno i romani”, assicura, senza entrare nel dettaglio. Quel che è certo ai suoi occhi che si è rotto il rapporto di fiducia fra il sindaco e la città. E che margini di recupero proprio non ce ne sono.
Manca qualsiasi riferimento all’ipotesi di uno slittamento di un anno del voto capitolino, scelta che forzerebbe le regole più in nome del tentativo di evitare una sconfitta probabile che per via del Giubileo della Misericordia. Del resto, un provvedimento ad hoc per rinviare il voto a Roma solleverebbe non solo un gran polverone parlamentare, ma anche fortissime perplessità del Quirinale, perché non sarebbe certo facile da digerire uno così smaccato cambio delle regole del gioco a partita ormai in corso.
Parla anche di Milano, Renzi, ammette di non essere riuscito a convincere Pisapia a ripresentarsi, ma si concentra soprattutto sui contenuti della legge di stabilità prossima ventura. Assicura che ci sarà una riduzione delle tasse vera (sulla casa e sulle imprese), senza giochi di prestigio (taglio da una parte e aumento da un’altra), che si affronterà in maniera definitiva il problema degli esodati, ma anche di chi vorrebbe andare in pensione un po’ prima dell’alta anzianità prevista dalla riforma Fornero. Promette la riforma della cittadinanza con l’introduzione dello jus solii e la legge sulle unioni civili, riducendo al solo tema delle “stepchild adoptions” i motivi di divisione dentro il Pd e fra i democratici e l’area cattolico moderata della coalizione.
Tutto semplice e lineare. Tutto a portata di mano, almeno nelle parole del premier. Assicura che i soldi per fare tutte queste cose ci sono, che verranno dalla lotta all’evasione fiscale e dal rientro dei capitali dall’estero, oltre che dalla flessibilità consentita dall’allentamento del rigore europeo. Bisognerà vedere se i conti torneranno, quelli economici che Padoan cerca di tenere sotto controllo, e quelli politici.
Su questo aspetto, il quadro politico, Renzi rimane abbottonato. Sferza i suoi detrattori interni, ricordando che se servono accordi con spezzoni della destra per governare (prima Berlusconi, poi Alfano e adesso Verdini) è dovuto al fatto che nel 2013 il Pd le elezioni non le aveva affatto vinte. Quindi realismo e naso turato, i voti di Verdini non puzzano, anche perché l’ex braccio destro di Berlusconi le riforme costituzionali le aveva già votate nel primo passaggio in Senato. Incomprensibile è piuttosto l’ex Cavaliere che “non mi parla più, è arrabbiato con me”, specie dopo il mancato coinvolgimento nella scelta del successore di Napolitano.
Per oggi, quindi, la situazione agli occhi di Renzi è senza alternative, con buona pace dei D’Attorre e dei Gotor. Il corollario è che per il domani bisogna attrezzarsi affinché simili situazioni non si ripetano. Se vuole essere autonomo, il Pd le elezioni le deve vincere con le proprie forze. E lui — pensiero sottinteso — è l’unico che quella vittoria la può rendere possibile.
Quello di Renzi sembra quindi il discorso di un leader che si sente senza alternative. Agli avversari politici solo brevi cenni, a sottolinearne l’assoluta marginalità. Oggi il premier segretario si sente al centro della scena più saldo che mai, e lavora a consolidare questa posizione tanto sul piano interno, quanto su quello internazionale. Vuole accreditare l’immagine di un leader concreto e credibile. Ecco perché frena sulla partecipazione italiana alle azioni contro l’Isis in Siria, evocando il disastroso intervento francese in Libia, rivelatosi controproducente per tutto l’Occidente.
Per chi intende scalzare oggi Renzi da Palazzo Chigi (e dalla guida del Pd) non sarà facile costruire un’alternativa credibile. Per ora siamo a zero, su entrambi i fronti, e il tempo scorre veloce. Il primo banco di prova saranno le amministrative di primavera, specie ora che a Milano, Napoli e Torino e andata ad aggiungersi anche Roma. Se centrodestra e 5 Stelle dovessero uscire sconfitti in tutte le sfide principali, il disegno egemone di Renzi avrebbe tutte le carte per consolidarsi e uscire vittorioso dalle probabili elezioni politiche del 2017.