Per il presidente, Luca Cordero di Montezemolo, il giudizio di Borsa non rappresenta «numeri, fondamentali, prodotti e opportunità della Fiat». E non c’è dubbio che in questo momento i valori dei mercati borsistici, nel mezzo della bufera del crack finanziario mondiale, non rappresentino affatto la realtà delle grandi fabbriche che hanno degli asset più che consistenti.
La caduta dei titoli bancari trascina in basso anche i titoli di società che sono di ben diversa realtà di quella stabilita dalla Borsa. Ma non c’è dubbio anche che ormai la crisi finanziaria, scoppiata un anno fa con i subprime negli Stati Uniti, sta ricadendo anche sull’economia reale.
La caduta del mercato dell’auto negli Usa, in settembre, è stata annichilente e calcolabile tra un meno 25 e un meno 30 per cento. Ma la crisi non morde solamente in Usa. Il contagio arriva anche in Europa e i dati si accavallano, tutti negativi, sui mercati occidentali al di là e al di qua dell’Atlantico.
Alla fine, sul futuro del mercato automobilistico, il giudizio più consolante è quello di Ian Robertson, membro del consiglio di amministrazione di Bmw Group: «Penso che i primi segnali di un’inversione di tendenza si possano già vedere dalla metà del 2009, ma solo nel 2010 ci si potrà ritenere tutti quanti fuori dal tunnel». Quindi è ipotizzabile che anche Fiat, dalla metà del 2009 e poi nel 2010 sia fuori dal tunnel?
Questa è la domanda che ci si pone oggi in Italia, guardando realisticamente la situazione della Fiat e anche il lavoro intelligente che ha fatto l’amministratore delegato. Sergio Marchionne, che nelle sue dichiarazioni è sembrato molto realistico, rivedendo in parte gli obiettivi del gruppo.
A questo punto vale la pena non tanto di entrare nella strategia articolata che Marchione ha in mente per la Fiat, che sarà come al solito di grande intelligenza, ma di valutare a grandi linee come è possibile rilanciare, di fronte alla crisi mondiale, un settore molto maturo dell’economia come quello dell’automobile.
La Fiat è uscita dall’anno orribile, cioè il 2002, con un colpo di reni di notevole portata. È aumentata visibilmente la qualità della produzione automobilistica e si è insistito con grande intelligenza sul marketing, oltre ovviamente a una razionalizzazione generale della grande azienda.
Ma la valutazione che è giusto fare parte dalla primavera del 2007, quando il titolo Fiat toccò un valore di oltre 24 euro ed erano pronte scommesse su uno sfondamento dei 30 euro. Vediamo la sorti del titolo Fiat alla fine della settimana più nera della Borsa italiana, quella a cavallo tra l’ultima settimana di settembre e la prima di ottobre 2008.
Venerdì scorso è stata una giornata ancora di sofferenza per il titolo Fiat, con una perdita del 3,19% e un valore che si è fissato alla chiusura sugli 8,64 euro. E la discesa era cominciata da tempo, destando preoccupazioni sin dal mese di luglio di quest’anno.
Se la crisi dell’auto è generale, c’è anche da dire che il grande sforzo di qualità e di produzione della Fiat in questi anni non è stato sempre caratterizzato dal successo. Si scriveva tempo fa che la nuova Cinquecento era un «prodotto luccicante» per un medio ceto ricco e pronto a spendere, quasi una “ciliegina sulla torta” di un’azienda che aveva ritrovato una sua nicchia di mercato. Ma quali sono i reali dati di vendita della Cinquecento? Poi ci sono altri interrogativi sulla vendita della Bravo e della Grande Punto. In più il rilancio di alcuni modelli di “grande marchio”, come quello dell’Alfa Romeo come possono avvenire se, a quanto si dice, si rimette in discussione l’accordo con Bmw per la vendita sul mercato americano, dove l’Alfa gode di un prestigio (è quasi una status symbol) quasi secolare?
Con tutta probabilità noi siamo legati a un target Fiat che è profondamente cambiato. Quella azienda che alla fine degli anni Sessanta balzò nella classifica dei costruttori mondiali al sesto posto e rese onore all’Italia intera, era centrata su una gamma di vetture di piccola cilindrata e di ottima qualità.
La grande crisi del 2002 arrivò alla fine di una lunga “agonia” di quel tipo di mercato per la Fiat, se è vero che all’inizio degli anni Novanta un uomo come Enrico Cuccia valutava non più sostenibile l’investimento nell’azienda torinese. In quel 2002, che oggi appare come un anno discriminante tra la nuova e la vecchia Fiat, l’allora amministratore delegato di Mediobanca, Vincenzo Maranghi, proponeva, suscitando apprensioni una sorta di “polo del lusso”, che in sintesi voleva dire la riconversione in eccellenza del prodotto anche della Fiat.
Probabilmente erano tutte ipotesi sbagliate, se poi Marchionne è riuscito a risollevare le sorti della grande azienda di Torino. Ma ora siamo di fronte agli effetti della crisi finanziaria e di quelli che questa crisi porta sull’economia reale. È realistico domandarsi, dopo che si invertirà questo infernale ciclo economico, quale tipo di mercato automobilistico potrà occupare la Fiat. Cioè se riuscirà a cogliere, con l’attuale sua gamma di prodotti, quella risalita nel 2010 che prevede Ian Robertson di Bmw Group.
Ci auguriamo di sbagliare alcune previsioni, ma è impossibile non pensare a una Fiat “in mezzo” a due tenaglie: la produzione dei paesi emergenti a costi più che competitivi e il target dei grandi marchi europei che possono puntare a un prodotto sempre più di eccellenza.
Forse Marchionne ha la ricetta giusta per smentire tutte queste previsioni e per questa ragione, intanto, chiede un intervento di sostegno al settore automobilistico da parte dell’Unione Europea di 40 miliardi di euro, molto di più di quanto ha fatto il Governo americano che ha stanziato 25 miliardi di dollari per le sue case automobilistiche in crisi.
La proposta di Merchionne è stata condivisa anche da altri costruttori europei. Può diventare una scommessa importante. Ma sarebbe molto rischioso perderla.