E bravo Monti. È stata un successo, oltre le previsioni, la terza emissione dei Btp Italia: quasi 2,5 miliardi di euro collocati, scadenza 2016, rendimento minimo garantito del 2,55%. È una buona notizia per la disastrata finanza pubblica, ma è anche un segnale politico: i mercati danno quotidianamente l’indicazione di apprezzare il governo di Mario Monti e di puntare su di lui ogni volta che il caos politica nazionale rende sempre più probabile una sua permanenza a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni della primavera prossima.
La mano di un tecnico. Ogni italiano, o quasi, ha bisogno di un tecnico quando deve compilare la dichiarazione dei redditi e pagare le tasse. Perché la materia fiscale è talmente complessa che soltanto uno specialista sa orizzontarsi. La legge sulla stabilità appena voluta dal governo non fa che complicare la situazione. Qualunque cosa si pensi su detrazione e deduzioni (e resto del parere espresso ieri che la retroattività sia incostituzionale) il loro calcolo diventa ancora più complesso e tale da richiedere il ricorso a un esperto se si vuole evitare di commettere errori che potrebbero rivelarsi onerosissimi. Negli altri Paesi, quelli che prendiamo a modello, non succede così. È lo Stato stesso, l’amministrazione, che calcola quanto è dovuto da ciascun contribuente e gli manda a casa la cartella con l’indicazione della cifra da pagare. Un sistema che funziona così è più equo (il fiscalista è costoso e non tutti se lo possono permettere), ma soprattutto è più efficiente, più moderno. Non potrebbe il governo di Mario Monti, il tecnico per eccellenza, accelerare la tante volte promessa riforma dell’amministrazione, ora a livelli indecenti?
Fatti coraggio, Consob. La Sopaf, finanziaria della famiglia Magnoni, ha gettato la spugna: gravata da un indebitamento insostenibile verso le banche (che ne hanno chiesto il fallimento) ha fatto domanda di concordato preventivo per poi liquidare la società. La Sopaf, in passato di Jody Vender, è stata per anni il simbolo di quella finanza molto dinamica che sapeva bene come navigare fra le onde dell’economia di carta. Ma non ha retto all’urto della crisi. Si poteva fare qualcosa prima di arrivare al punto di non ritorno? Viene in mente una notizia di pochi giorni fa: la Consob ha deciso di vederci chiaro nella reale situazione finanziaria della Fiat per sapere a quanto ammonta davvero la liquidità. Magari la stessa attenzione poteva (e potrà in futuro) essere dedicata a soggetti come Sopaf.
Ritorno a Malpensa. Comunque gli uffici stampa cerchino di girarla, la situazione in Alitalia è a dir poco critica. Conti che non tornano, cassa integrazione, esuberi, tagli, ecc. È vero che la vita è difficile per tutte le compagnia aeree, ma nel caso di quella guidata da Roberto Colaninno lo è ancora più. Le ragioni sono tante e fra queste appare sempre più chiaro che c’è stata una scelta strategica sbagliata. Alitalia, perché ha la sua base di armamento a Roma e perché così volevano i sindacati e l’Air France, ha deciso di fare un solo hub a Fiumicino. E di concentrare lì i voli a lungo raggio, i più remunerativi. È successo quello che tutti si aspettavano: i viaggiatori, se devono andare da Milano a Washington e non hanno più il volo diretto, fanno scalo a Francoforte, Londra, Parigi, ma non a Roma. E l’Alitalia perde il traffico più ricco. Anche il ministro Corrado Passera si è accorto che la scelta di abbandonare Malpensa non è stata fra le più felici e, poche settimane fa, ha detto che va ripensata. Non poteva pensarci quando, da amministratore delegato di IntesaSanpaolo, ha fatto da banca di sistema finanziando la Cai di Colaninno?