È soltanto un’ipotesi, ma qualcuno inizia a pensare che la tattica politica di Tsipras sia di carattere “sperimentale”: arrivare al default (sospensione dei pagamenti) per misurare le reazioni della società e per allentare la pressione dell’ala sinistra del partito, la quale, di fronte alla probabile indignazione generale, potrebbe ammorbidire le sue posizioni in nome del “benessere del popolo”. Poi, dopo questa scossa tellurica, firmare l’accordo con Bruxelles, che prima o poi Tsipras sarà obbligato a firmare pressato com’è dalla situazione finanziaria.
Tra una decina di giorni, le casse saranno vuote e non ci sono indizi che portino a ritenere che prima del 9 aprile (giorno in cui si dovranno onorare alcuni debiti) l’Eurogruppo (qualora si riunisse nei prossimi giorni) darà il via libera per il pagamento alla Grecia di una tranche del prestito. Vuoi per la festività pasquale (quella cattolica cade una settimana prima di quella ortodossa), vuoi soprattutto perché le discussioni sulla lista inviata da Atene è quanto mai generica.
Fonti governative elleniche parlano di “clima di fiducia” e di “progressi”. Fonti comunitarie insistono nel definire la lista una “esposizione di buone intenzioni”, senza però una tabella precisa di benefici contabili. Quindi, per ora nessun accordo. Gli europei chiedono misure che portino immediatamente nelle casse un po’ di contanti. E insistono su alcune riforme (pensionistica, privatizzazioni, tasse sulla prima casa) che il governo ha definito “non negoziabili” perché fanno parte delle promesse pre-elettorali. Si sa comunque che 18 sono le riforme proposte dal governo Tsipras e che queste dovrebbero portare nelle casse pubbliche circa 3-3,2 miliardi. Da Berlino, il portavoce del ministero delle Finanze ha dichiarato che la Grecia non ha ancora presentato la lista dettagliata delle riforme che propone ai creditori e ha aggiunto che il governo greco si era impegnato a presentare la lista non al più tardi di lunedì (ieri per chi legge). Poi, nel tardo pomeriggio, ecco però apparire la lista ufficiale: si parla di privatizzazioni, di lotta all’evasione fiscale (con controlli dei conti esteri), di vendita di concessioni governative (gioco elettronico e frequenze televisive), di interventi nella Pubblica amministrazione e dell’indipendenza dell’Agenzia delle entrate. Si prevede un tasso di sviluppo pari al 1,4% (rispetto al 2,9%), mentre nel prossimo anno dovrebbe attestarsi sul 2,9%.
La “incertezza creativa” (copyright di Yani Varoufakis) con cui è stata redatta la lista (e poi quale lista?) era l’unica scelta che poteva prendere questo governo per ragioni di equilibri interni di partito e di coalizione. È un gioco pericoloso che non fa altro che irritare i creditori e allarmare la società. Ormai è diventato quasi un fatto fisiologico: a ogni apertura verso Bruxelles corrisponde una presa di posizione di antagonismo. Mentre la lista era in viaggio per Bruxelles, il vice-ministro degli Esteri per i rapporti economici internazionali affermava: “O si arriva a un compromesso condiviso oppure è la rottura”. Poche ore dopo rettificava il tiro. Mentre a Bruxelles si riuniva il Brussels Group, il vice-ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis, chiedeva “scelte coraggiose contro una Comunità europea germanizzata”. Nel frattempo, sull’agenzia di stampa cinese si leggeva la dichiarazione del vice-primo ministro Yannis Dragasakis, nella quale dichiarava che il governo ellenico era disposto a cedere la maggioranza delle azioni del Porto di Pireo alla società cinese Cosco. È seguita la smentita di vice-ministro della Marina mercantile.
In tutto questo turbinio di dichiarazioni, ecco arrivare la notizia che l’agenzia Fitch ha declassato la Grecia da B a CCC, poco sopra la famigerata D di default, per il timore che le riforme promesse da Atene non vengano attuate. L’agenzia di rating ha parlato di “pressione estrema sul finanziamento del governo greco”. I fattori che avrebbero influito sulla decisione sono da ricondursi all’attuale mancanza di accesso al mercato del debito per il governo greco e ai problemi di liquidità nel settore bancario del Paese.
Allo stesso tempo, scrive Fitch, il nuovo governo guidato dal partito di sinistra Syriza si è mostrato negativo rispetto alla necessità di introdurre politiche orientate al risparmio, che sarebbero la conditio sine qua non di un sostegno finanziario da parte dei creditori internazionali.
Mancano ancora nove giorni prima del prossimo pagamento di debiti. In questo periodo sarà difficile trovare altri “avanzi” nelle casse statali o di altri enti (casse pensioni, società controllate, ospedali, ecc.) per cui non è escluso che si arrivi a una sospensione dei pagamenti – verrebbe applicata la minaccia di Tsipras contenuta nella lettera alla Cancelleria Merkel. Si metterebbe in moto una serie sgradevole di azioni, quali ad esempio il “capital control” sui movimenti di capitali. E proprio questo mentre la Grecia si prepara alla Pasqua Ortodossa, la più sentita festa religiosa, che comporta il ritorno ai comuni di origine e accompagnata dal tradizionale capretto allo spiedo. Forse questa è una delle ragioni per cui negli ultimi giorni i greci hanno ritirato decine di milioni dai loro conti bancari. Adesso i depositi bancari si sono attestati sui 133 miliardi.
Per far approvare la lista dal Consiglio dei ministri, Tsipras ha speso non poche energie, spiegando ad alcuni ministri che resta in vigore da parte del governo la linea della difesa degli interessi del popolo ellenico. Più tardi, domenica scorsa, è stata la volta della segreteria politica di Syriza. Durante la riunione gli animi erano piuttosto accesi, ma Tsipras ha ribadito che le “linee rosse” tracciate nel programma elettorale non verranno mai superate.
Ma le fatiche di Tsipras non sono finite qui. Ieri sera in Parlamento si è finalmente discusso della “lista Varoufakis” (quella inviata il 20 febbraio). Era un atto politico quasi obbligatorio, dopo che l’ex primo ministro Samaras ha reso ufficialmente pubblico il suo contenuto, accompagnandola con un’accusa infamante per il governo: “Avete firmato un accordo che si rifà al vecchio Memorandum”. Un guanto di sfida che doveva essere raccolto dal governo. Ma anche questa volta le dichiarazioni di Tsipras erano soprattutto rivolte alla sua sinistra, la quale, tra mormorii e mezze parole, non è stata ancora chiamata a votare misure che potrebbero esserle ideologicamente indigeste.