Che l’ingegner Francesco Giavazzi l’economia non la conoscesse e dovesse impararla si dice lo pensasse anche il suo maestro al Mit, il Nobel Franco Modigliani. Che non fosse adatto a entrare nel cda di un’istituzione finanziaria lo hanno deciso gli azionisti di Mediobanca: bocciando la sua candidatura in assemblea, nonostante fosse il genero del defunto presidente Francesco Cingano (il posto giusto per l’editorialista del Corriere della Sera è invece effettivamente il board di Autogrill: un monopolista ex pubblico ceduto ai nuovi “capitalisti di relazione” Benetton, ovviamente azionisti di Rcs).
Non stupisce neppure che Giavazzi scenda in campo – ovviamente con consueta autorevolezza bocconiana – la mattina della convocazione di un cruciale board Rcs: ultima chiamata prima dell’assemblea straordinaria del 30 maggio (via all’aumento di capitale oppure il baratro della procedura concorsuale), dopo che l’ultimo consiglio ha visto la clamorosa minaccia di azione di responsabilità da parte di Diego Della Valle.
All’ultimo, tempestoso board è fuggito subito dalla stanza Andrea Bonomi: formalmente consigliere indipendente, di fatto figura-chiave di questo passaggio Rcs. Bonomi, in quanto presidente del consiglio di gestione Bpm, ha rafforzato in extremis il consorzio bancario che ha ristrutturato l’enorme debito accumulato da Rcs; e d’altro canto è considerato un candidato reale a un ingresso pesante in Rcs dopo il prevedibile “chiarimento” in sede di riassetto azionario.
È a Bonomi – fra l’altro cognome blasonato della finanza meneghina – che alcuni guardano per favorire l’uscita di soci turbolenti o stanchi dal “bandwagon” dell’azionariato del Corriere: da Della Valle (che punterebbe su La7 e forse sulla possibile ricapitalizzazione del Sole 24 Ore) alla famiglia Rotelli, prima azionista, ai Merloni, agli stessi Benetton (e, perché no, alle medesime Generali).
Per intervenire sul Corriere Bonomi e i suoi partner nel grande private equity globale dovrebbero prima chiudere la speculazione in corso sulla Bpm. Ma il piano di trasformazione in Spa è stato clamorosamente stoppato dai dipendenti-soci della Bpm (prodromico alla contendibilità della Bpm in Borsa) all’ultima assemblea. Ed è ovviamente su questo che prova a cimentarsi Giavazzi, in un breve cenno sull’universo che non può non partire dall’emergenza creditizia in Europa e non concludersi con un appello alla Banca d’Italia perché spezzi definitivamente le reni alla Bpm (ma su questo, su queste pagine, abbiamo riflettuto ben prima di Giavazzi).
Quindi: la colpa del credit crunch in Lombardia è della Bpm che dovrebbe ricapitalizzarsi e non può farlo perché i soci non votano il piano Spa di Bonomi. Giusto? Non proprio: l’Economist (che normalmente Giavazzi scopiazza a man bassa) proprio questa settimana scrive che “Wall street is back”, mentre le banche europee sono “in declino” anche perché i loro “reguator” (governi e authority) insistono troppo, da anni, perché rafforzino drasticamente i loro patrimoni. Che Giavazzi alla fine mastichi poco anche l’inglese?