Accordo tra Pd, Pdl e Scelta Civica per appoggiare Franco Marini come presidente della Repubblica. Nell’incontro tra Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, il segretario del Pd aveva presentato una terna che includeva anche Giuliano Amato e Sergio Mattarella. Tra i tre Berlusconi non ha avuto dubbi e ha scelto Marini, all’insegna di quella che Bersani aveva definito la “più ampia condivisione”. Matteo Renzi si è però schierato contro la candidatura di Marini, minacciando di uscire dal partito. Ilsussidiario.net ha intervistato Piero Sansonetti.
Come valuta la scelta di Marini e le critiche di Renzi?
Non ho capito perché Marini sia stato criticato da Renzi, il quale non ha ancora fatto nulla in politica, mentre il senatore ha fatto molto. Ha guidato un grande sindacato come la Cisl, ha fatto grandi battaglie, si è esposto, ha lottato all’interno della Democrazia Cristiana e ha una grandissima biografia politica, che può piacere o meno. Non mi pare proprio però che Renzi abbia i numeri per affermare che Marini non vale niente. Forse tra 30 anni il sindaco di Firenze avrà fatto un decimo di quanto Marini ha fatto per la politica italiana. Marini è uno degli esponenti della nostra classe politica con la statura morale più alta. Le sue battaglie non sono mai state per i posti di potere, ma sui temi più importanti. Renzi deve ancora incominciare a fare queste battaglie.
Con la scelta di Marini cade l’ipotesi di D’Alema. Poteva essere una candidatura credibile?
D’Alema è uno dei dirigenti politici più prestigiosi e importanti della seconda Repubblica. La candidatura sarebbe stata ragionevolissima. Ha avuto un rapporto abbastanza normale con Berlusconi, come avviene tra due avversari politici che si rispettano e il cui livello di scontro non è stato mai esagerato. Rispetto a numerosi altri dirigenti del centrosinistra, D’Alema ha anche il vantaggio di essersi occupato di battaglie sui contenuti con Berlusconi e di non essersi mai mischiato in questioni giudiziarie o personali.
Perché, almeno per ora, la sua candidatura non è risultata vincente?
D’Alema non è uno del “partito di Repubblica”, anche se da questo punto di vista poteva risultare più gradito anche al centrodestra. Il problema di D’Alema è che ha una discreta opposizione all’interno del suo partito. Da una parte i renziani e dall’altra i veltroniani avrebbero fatto da franchi tiratori in Parlamento. Fra i dirigenti politici degli ultimi 20 anni D’Alema è però uno dei due o tre di maggior valore.
Il Pd non ha trovato l’accordo con l’M5S su Rodotà. Poteva essere una scelta credibile?
Rodotà è un nome molto interessante, una figura di grande esperienza politica, un giurista e una personalità notevole. Il suo difetto fondamentale è che è stato scelto da strane primarie, nel corso delle quali hanno votato online, dunque in maniera molto discutibile, circa 40mila persone. Temo che questa operazione abbia bruciato quello che di per sé era un candidato ragionevole. Proposto in questo modo diventa però quasi un’imposizione di Grillo. Sembra che il leader del Movimento 5 Stelle abbia il potere di decidere la figura più indicata per la presidenza della Repubblica.
Eppure Rodotà era stato sottoposto a un vaglio “democratico” …
In realtà Rodotà non aveva neanche vinto le minuscole Quirinarie, era arrivato terzo e in seguito alla rinuncia dei primi due era diventato il cavallo di battaglia di Grillo. In molti Paesi il presidente è eletto dal popolo. In Italia abbiamo stabilito che ciò non può avvenire, ma l’alternativa non può essere certo fare votare 40mila amici di Grillo. E’ un metodo che lascia a desiderare, basti pensare che in Venezuela si contesta l’elezione di Maduro che è stato eletto con 250mila voti di scarto. A parte questo problema, Rodotà aveva tutte le carte in regola per fare il presidente della Repubblica, ma bisognava seguire altre strade e non certo la decisione di Grillo.
(Pietro Vernizzi)