Le procedure di espulsione nel M5S mettono sotto gli occhi di tutti la crisi del movimento. Dopo il caso della senatrice Adele Gambaro, è toccato al deputato Paola Pinna. L’onorevole grillino Andrea Colletti ha scritto una e-mail al capogruppo Riccardo Nuti, chiedendo l’espulsione ufficiale della collega. La pagina ufficiale di Facebook del Movimento 5 Stelle si apriva l’altro ieri con la domanda provocatoria “Paola Pinna … Chi?”. L’onorevole eletta nel collegio della Sardegna aveva parlato di “clima di psico-polizia” e di “talebani”, suscitando le vivaci polemiche che caratterizzano il movimento di Grillo. Valeria Lombardi, ex capogruppo alla Camera dei Deputati, ha scritto su Facebook riferendosi alla Pinna: “Non abbiamo mai visto questa persona alle nostre assemblee e molti di noi non sapevano neppure della sua esistenza”. La crisi del M5S rientra però pienamente nel quadro della crisi di tutti gli attuali partiti. Quella del Pd era emersa soprattutto durante l’elezione del presidente della Repubblica, ma anche quella del Pdl non è da meno. Ilsussidiario.net ha intervistato Paolo Cirino Pomicino.
Nella prima Repubblica sarebbe stato immaginabile uno sfaldamento di un partito a quattro mesi dalle elezioni, come quello che sta travolgendo il M5S?
Le cose non sono neanche paragonabili, perché il Movimento 5 Stelle tutto è tranne che un partito. Da che mondo è mondo e in tutte le latitudini, la serietà di un partito si misura sul fatto di avere alle sue spalle una cultura di riferimento. E’ proprio ciò che manca al M5S, insieme a una democrazia interna con organi collegiali che decidono. Queste sono le due condizioni perché un partito si possa chiamare tale. Purtroppo quello che si dice per il M5S si può dire in larghissima parte anche per quelli che si definiscono partiti nell’attuale sistema politico italiano. Per 20 anni ci si è mossi nell’orizzonte di partiti personali, privi di cultura, di identità e di democrazia.
Questa cultura di riferimento in che modo si elabora e perché è venuta a mancare negli attuali partiti?
Le culture di riferimento esistono in tutta Europa. Non a caso le società europee in larga parte si identificano con le culture socialiste, liberali, cristiano-democratiche e ambientaliste. Ci sono poi altre culture minoritarie, spesso locali, di stampo nazionalista o identitario, come la Lega nord e il Partito indipendentista basco.
Perché in Italia le quattro culture che lei ha citato non si identificano più con dei partiti, ma sono loro sottese?
Perché nel 1992 il Partito comunista italiano, non volendo più essere tale, per una difficoltà intellettuale e per la storia che si era accumulata sulle sue spalle, non riuscì a definirsi socialista. Si era immaginato di progettare prima una terza via, e non l’ha trovata, quindi ha pensato che la parola “democratico” fosse di per sé un’identità. Ma questo accade nel continente americano, dove la parola democratico ha un senso molto più preciso di quanto non avvenga nell’Europa continentale dove “democratico” non significa assolutamente nulla, allo stesso modo come non significa nulla “riformista”.
(Pietro Vernizzi)