Più che il disordine del mercato, sono stati i difetti di politica sia economica sia monetaria ad amplificare la crisi. Tutti segnalano il rischio economico, ma il più preoccupante è quello politico. Per capirlo è utile ricapitolare le tre fasi della crisi.
1. Il ciclo di crisi è stato avviato dall’impennata dei prezzi energetici ed alimentari a partire dal 2005. I governi europei ed americano sono stati colti di sorpresa e non hanno trovato, nel 2006 e 2007, politiche disinflazionistiche adeguate. Tale tipo di inflazione (“da costo”) non è selettivamente correggibile con la politica monetaria. Questa, con i propri strumenti può solo mandare in recessione tutta l’economia per ridurre la domanda di petrolio ed il suo prezzo. Come demolire una casa per disinfestarla. Infatti le banche centrali, vista l’incapacità dei governi, hanno alzato il costo del denaro per ottenere tale effetto. In America l’aumento dei tassi ha reso insostenibili i mutui contratti dai meno abbienti. Alla fine del 2006 sono iniziate le insolvenze che poi hanno dato il via alla crisi “specifica” di fiducia finanziaria.
2. I mutui insolventi, finanziarizzati entro pacchetti sintetici venduti globalmente, sono entrati nei bilanci di molte banche creando perdite, in alcuni casi superiori ai mezzi propri. Tale situazione, non grave di per sé, è stata amplificata dal fatto che le banche hanno smesso di prestarsi soldi l’un l’altra temendo insolvenze. Ciò ha semicongelato il mercato dei capitali nella primavera del 2007.
3. Dall’estate del 2007 a quella del 2008 ci sono stati tre errori formidabili che hanno reso “sistemica” la crisi finanziaria. Le banche avrebbero dovuto ricapitalizzarsi. Le Banche centrali, ed indirettamente i governi, avrebbero dovuto costringerle. Ma “ricapitalizzazione” significa modificare gli assetti azionari e quindi il potere nell’azienda. Molti manager hanno preferito correre il rischio di nascondere le perdite in bilancio piuttosto che rischiare il posto. Per questo si sono trovate, quasi tutte le grandi in America ed in Europa, ai limiti del fallimento. Il terzo errore è stato fatto dalla Fed statunitense che ha lasciato fallire Lehman Brothers. Ciò ha creato panico e messo il più delle banche in condizioni di insolvenza. Qui eravamo la settimana scorsa.
La situazione ha richiesto interventi di ricapitalizzazione straordinaria con denari statali sia in America sia in Europa. Funzionerà? Dovrebbe: la copertura del buco globale richiede complessivamente poco più di un trilione di dollari mentre le capacità di ricopertura del sistema sono stimabili in 6 o 7, considerando che il capitale privato tornerà in massa appena il segnale di stabilizzazione sarà certo. Ma lo sarà? Se sì, ci vorranno dai tre ai sei mesi per lo scongelamento del sistema finanziario. Tuttavia, i comportamenti di governi, banche centrali ed attori privati hanno amplificato la crisi, di fatto creandola. Ciò segnala un nuovo rischio: la crisi di capacità dei gestori. Che continua. Prova ne è il coordinamento solo nominale dell’Unione europea per la gestione della crisi, con l’unico accordo vero di rilassare i parametri di stabilità. La crisi bancaria sarà risolta, ma l’intensità e durata della recessione e la quantità di inflazione latente che stiamo cumulando, cioè di destabilizzazione strutturale dell’euro, dipende dalla gestione politica e monetaria. Governi e banche centrali hanno mostrato di non sapere bilanciare deflazione ed inflazione e nulla al momento segnala che stiano migliorando, nonostante il loro impegno di salvataggio. Non è una crisi del mercato, ma della gestione politica. Attenzione.