Sembra che tutto si giochi all’interno del Partito democratico e nei suoi “territori limitrofi”, in una sorta di regolamento dei conti finale. Il ministro per le Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, va alla trasmissione domenicale di Lucia Annunziata e aggrava ancora di più le polemiche con la minoranza interna. Sembra quasi che si diverta a rivoltare il coltello nella piaga. Dopo l’uscita di Matteo Renzi a Bergamo, dopo la dichiarazione di voto dell’Anpi (l’Associazione nazionale partigiani) per bocca del suo presidente, Carlo Smuraglia, la bionda Boschi pare che scelga volutamente la provocazione: “L’Anpi sicuramente come direttivo nazionale ha preso una linea, poi ci sono molti partigiani, quelli veri, che voteranno Sì alla riforma”. E’ sicura, un po’ spavalda ma ha proprio l’aria di chi cerca la rissa Maria Elena Boschi: “Anche nell’Anpi molti voteranno Sì, come anche molti nel M5s”.
L’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, sembra andare fuori dai gangheri, in un momento di sgomento: “Come si permette la ministra Boschi di distinguere tra partigiani veri e partigiani finti?” Bersani incalza: “Siamo forse già arrivati a un governo che fa la supervisione dell’Anpi?”. E conclude con un giudizio severissimo: “E’ evidente che siamo a una gestione politica sconsiderata e avventurista”.
Arriva anche il commento di un quasi traumatizzato Gianni Cuperlo, che dimentica sempre di più il suo aplomb misurato e post-bolscevico: “Io mi sono dimesso dalla presidenza del Pd per difendere le mie opinioni. Speranza si è dimesso da capogruppo alla Camera del partito in polemica col voto sull’Italicum. Se la polemica diventa questa è anche difficile rispondere”.
E sull’Italicum Maria Elena Boschi non ammette repliche, anche nei confronti dell’antico “fiancheggiatore” del centrosinistra, Eugenio Scalfari, che ha scritto su Repubblica di aver già scelto il “no” a meno che si cambi la legge elettorale. La Boschi, per tutta risposta, dimostra di infischiarsene: “L’Italicum non sarà rivisto. La legge elettorale l’abbiamo votata. E’ questa e funziona perché evita di attuare gli inciuci”.
Pare legittimo a questo punto chiedersi: che cosa nascondono questi toni durissimi dei due interpreti principali del governo? Prima Renzi a Bergamo, poi la Boschi per televisione partono all’attacco, trascurano in modo quasi sfrontato qualsiasi scadenza intermedia, sorvolano su qualsiasi scenario internazionale e si concentrano sulla battaglia di ottobre, il referendum sulla riforma costituzionale.
Sembra quasi che l’elezione di un sindaco a Roma o a Milano sia una sorta di routine, un po’ fastidiosa, comunque di poca importanza. E sicuri, tutti e due, che il governo ne uscirà indenne, in ogni caso e con qualsiasi risultato. La Boschi è stata perentoria di fronte alle domande di Lucia Annunziata: “Non è un voto sul governo”.
In sostanza, tutta la credibilità di questo governo, formatosi dopo la drammatica svolta del 2011, il governo dei tecnici, le elezioni con un risultato ambiguo del 2013, la breve esperienza di Enrico Letta e la svolta traumatica nel Pd, viene spesa, giocata spregiudicatamente, in una grande scommessa, che potrebbe nascondere anche un grande bluff.
L’impressione è che Renzi e il suo governo sappiano benissimo che la crisi, la deflazione e i numeri economici siano destinati a restare negativi per molto tempo ancora. La ricetta per la crescita in Europa, e forse nel mondo, in questo momento, non la si riesce proprio a trovare nessuno.
Ma ottenere un po’ di flessibilità dall’Europa, “venderla” come capacità di negoziare del governo italiano, serve a Renzi e al governo a dare respiro a un paese che ha imboccato la via della disillusione e del disincanto verso la politica, anche rispetto a quella interpretata dal giovane “rottamatore” che sembrava sbaragliare il campo tenuto in ostaggio dalla “casta” e dal vecchiume. Condire questa flessibilità con un po’ di promesse (siamo arrivati addirittura anche all’eliminazione di Equitalia) può ancora dare respiro e credibilità a Renzi e al gruppo trasversale che ormai rappresenta, con una probabile nuova sinistra in formazione.
La posta in gioco per Renzi è quella di sperare di governare il Paese ancora per un anno. E vale senz’altro di più che il voto dell'”antico Anpi” e dei superstiti di una stagione fallimentare. Cioè di quella che veniva interpretata dai Bersani e dai Cuperlo.
Ovviamente non escludiamo che Renzi e il suo governo sperino e puntino su un miglioramento della situazione economica internazionale e italiana, contando anche su un assetto europeo leggermente modificato, magari con una flessibilità che, nonostante i documenti scritti e letti, venga allungata nel tempo. Sapendo anche che l’attuale situazione europea può essere rivista nel giro di un mese tra Brexit e altre elezioni in singoli Stati.
Ma il fatto più credibile è che Renzi stia giocando il suo azzardo con un gigantesco bluff, dove è in ballo la futura gestione di un’Italia ridimensionata nel suo ruolo economico e politico.
Che cosa dicono sostanzialmente sia Renzi che la Boschi? Ripetono quasi ossessivamente che se il referendum non passasse se ne andrebbero. Ma non si limitano solo ad annunciare questa “nobile rinuncia”. Aggiungono che salterebbe il governo e il sistema Italia sarebbe condannato a un’ingovernabilità permanente. In sostanza, comunicano che l’Italia della Costituzione del 1948 non funziona più, che va rivista profondamente, che la stessa Europa ci chiede di modificare il nostro assetto istituzionale, compresa la legge elettorale. Le modifiche sembrano tracciate più dall’esterno che all’interno dell’Italia, anche se Renzi ne assume tutta la responsabilità.
Il problema è che una riforma occorre veramente, ma nello stesso tempo occorre ricordare che la riforma costituzionale è un fatto che non può essere relegato a un voto per stato di necessità, tanto meno a un referendum che assomiglia a un ultimatum. Giocando anche sulla presenza nel governo di persone, che sono apparse come l’unica alternativa possibile a una classe politica completamente carente, inadeguata, quasi impreparata di fronte ai grandi problemi che deve affrontare.
Il grande bluff ha due aspetti: Renzi perde, lascia il campo e può scaricare sulle altre forze politiche, persino sulla sua minoranza, l’irresponsabilità di non volere un cambiamento necessario; Renzi vince e tratta con un’Europa a trazione tedesca, che è in difficoltà, che è divisa, lacerata e sicuramente sempre austera nei confronti dell’Italia. Un’Europa che magari pensa a un “nocciolo duro” dove l’Italia assume un ruolo secondario.
A che cosa servirebbe, in questo caso, un referendum traumatico, una divisione lacerante su una riforma costituzionale?