“Il piano di contingenza dell’Fmi, pur essendo in sé molto efficiente, di fatto produce un peggioramento di livello dei titoli italiani. E questo perché si instaura uno sfasamento temporale tra il piano greco che è già una realtà e il ‘contingency plan’ per Italia e Spagna che è solo una possibilità”. Lo afferma Francesco Forte, professore di Analisi economica del diritto nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nel corso di un’intervista a Ilsussidiario.net. Ieri sono state diffuse delle indiscrezioni sui contatti in corso fra Fmi, Unione europea e banche centrali per realizzare un piano in grado di prevenire un eventuale contagio di Italia e Spagna nella crisi.
Professor Forte, come valuta il nuovo piano di contingenza per Italia e Spagna?
Il piano in sé è molto efficiente, perché si basa su un principio coerente, che tra l’altro in precedenza avevo già autonomamente sostenuto. In un mio articolo, in uscita sulle riviste Carta Minuta e l’Ircocervo, teorizzo proprio questo sistema per l’Italia. In pratica, la mia proposta consiste nella collateralizzazione dei titoli del debito pubblico. Se il debito pubblico ha un rischio del 20%, come quello di Italia e Spagna, il piano consiste nell’assicurare questo debito con un collaterale pari al 20% di quel valore.
Questo piano quindi con 100 miliardi di euro ne attiva 500, e quindi anche senza bisogno di effettuare incrementi mediante finanziamenti esterni è in grado di sterilizzare i titoli del debito pubblico di Spagna e Italia che vanno sul mercato a medio termine, per l’anno prossimo e per quello successivo.
L’ammontare iniziale del fondo europeo era pari a 440 miliardi di euro, di cui ne rimangono 200 miliardi: quindi con 100 miliardi se ne possono valorizzare 500. Ne rimarrebbero però altri 100, utilizzando altri 50 dei quali si raggiunge una potenza complessiva di 750 miliardi che è estremamente adeguata alle circostanze.
Per quale motivo ritiene che questa cifra possa bastare?
In primo luogo perché, quantomeno l’Italia, ha già raggiunto il pareggio di bilancio. Una volta stabilizzati i debiti, la situazione è già di per sé tranquilla. Il debito italiano a questo punto necessita complessivamente di un intervento pari a 800 miliardi di euro, sufficienti a sterilizzare tutti i debiti a medio termine. Escludendo dall’intervento quelli delle famiglie italiane, o di chi desideri una remunerazione maggiore perché non teme il rischio e preferisce un tasso d’interesse del 5/5,5%, anziché uno del 4%.
Quindi lei promuove il piano di Fmi, Ue e banche centrali?
In realtà il piano presenta due problemi non indifferenti. Il primo è che questo piano non è ancora in azione, e quindi c’è uno sfasamento temporale, anche perché ancora non si sa se sarà attuato o meno. Nel frattempo si è capito che se uno Stato non è in grado di pagare, l’Unione europea, come condizione per il salvataggio, chiede alle banche di quel Paese di compiere un sacrificio particolare. E quindi questo genera una valutazione di mercato dei titoli pubblici peggiore rispetto a prima.
Non dimentichiamo che mentre questo piano era varato, veniva anche approvato un aiuto alla Grecia con tanto di “hair cut”, che letteralmente significa “taglio dei capelli”, cioè uno sfoltimento del 50% del valore dei suoi titoli. Il problema insomma è che il piano greco è una realtà e il piano del fondo d’investimento è una possibilità. Nel frattempo quindi i titoli italiani sono peggiorati di livello.
Ma questo è l’unico problema legato al nuovo piano?
La seconda considerazione è che ciò che sta avvenendo, soprattutto per l’Italia, forse un po’ meno per la Spagna, non è una crisi di solvibilità, come si tende a credere, ma una crisi di liquidità. Ossia una parte rilevante degli operatori economici internazionali vende i titoli perché ai livelli attuali dello spread hanno perso di valore. Le banche quindi nei parametri patrimoniali si trovano scoperte, e devono restringere il credito raccogliendo nuovo capitale. Quindi a questi operatori economici conviene vendere questi titoli e comprare i nuovi a un tasso di interesse più elevato.
E questo è un fenomeno inevitabile, anche se non riusciamo ancora a prevedere quale sarà il livello di equilibrio quando il fondo entrerà in gioco. Questi operatori però, vendendo il vecchio titolo che si è deprezzato e comprandone uno nuovo a più alto tasso che ingloba il rischio, ottengono degli indubbi vantaggi. Per esempio vendono il titolo spagnolo e comprano uno italiano a nuovo tasso. Paradossalmente, avendo annunciato questa misura, la situazione nel complesso è peggiorata.
Ritiene che i provvedimenti adottati dal governo Berlusconi siano sufficienti per onorare la lettera della Bce all’Italia?
La lettera della Bce all’Italia era una condizione per il varo di un fondo che, per paradosso, non richiedeva alcuna lettera. Il premio di assicurazione per l’Italia scatta infatti nel momento in cui scatta la garanzia. Non è cioè un’assicurazione che si paga prima, bensì un collaterale che si paga dopo. Il fondo europeo staccato in favore dell’Italia in altre parole è riscosso a carico del nostro stesso Paese. A chi gestisce questo fondo quindi non importa quindi se l’Italia onorerà o meno la lettera, i cui contenuti sono a un livello “metafisico” rispetto all’unica cosa “concreta”, e cioè se il nostro Paese sarà in grado o meno di pagare gli interessi.
Insomma, esiste un rischio di default e c’è bisogno di pagare per riconvertire i titoli a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato. Il problema però è che l’Italia deve pagare il differenziale per questo rischio che le è addebitato. Quindi non si conoscono ancora i dettagli tecnici di questo fondo, l’unica cosa che sappiamo è che non è un aiuto gratis e questo chiaramente implica che non è estremamente rilevante sapere se l’Italia con questa lettera diventa solvibile o meno.
(Pietro Vernizzi)