“Affermare che nel 2013 il Fisco pesa meno sulle famiglie italiane è pura disinformazione. Nella realtà i documenti ufficiali del governo testimoniano che la pressione fiscale rispetto al 2012 è cresciuta dal 44% al 44,4%. Se si vuole dare un segnale di speranza ai consumatori non basta certo la mini-riduzione del cuneo fiscale, ma occorrono misure più energiche”. Il modo con cui i principali quotidiani italiani hanno dato la notizia relativa all’ultimo studio della Cgia di Mestre ha lasciato “basito” il professor Gustavo Piga, docente di Economia politica all’Università “Tor Vergata” di Roma. La Cgia ha condotto simulazioni su tre diverse situazioni. Un giovane operaio single finisce per dover pagare 15 euro in meno di tasse in un anno. Una coppia con marito e moglie che lavorano e un solo figlio risparmia invece 178 euro, mentre una famiglia monoreddito con due figli deve versare 250 euro in meno.
Professor Piga, che cosa ne pensa dei risultati che emergono da questo studio della Cgia di Mestre?
Lo studio è certamente utile, ma rimango basito nel leggere su giornali prestigiosi titoli come “Nel 2013 il Fisco pesa meno sulle famiglie”. Nella realtà questo beneficio non riguarderà i lavoratori autonomi che non potranno trarre vantaggi dal taglio del cuneo fiscale, e che saranno quindi chiamati a pagare di più di quanto abbiano versato quest’anno. Tutt’al più si può dire quindi che su alcune famiglie ci sarà una minore pressione fiscale, ma non su tutte.
Ma non è stupito per il fatto che, almeno per una parte dei contribuenti, le tasse non siano aumentate?
Va ricordato che nel 2013 i redditi sono calati, e la tassazione va considerata in proporzione al reddito. Dalle stesse tabelle della Cgia risulta che nel 2013 per un individuo con 19.700 euro, le tasse sono scese di 15 euro rispetto al 2012: significa che la pressione fiscale si è ridotta di meno dello 0,1%. Nello stesso periodo il Pil italiano è sceso ben di più, e quindi è probabile che l’individuo considerato paghi delle tasse più elevate in percentuale al reddito.
Nel complesso come è cambiata la pressione fiscale nel 2013?
Parlando di quanto il governo Letta ha fatto e intende fare in termini di tassazione nei prossimi anni, i documenti ufficiali affermano che la pressione fiscale tra il 2012 e il 2013 è aumentata dal 44% al 44,4%, e rimarrà pressoché stabile al 44,3% nel 2014. Ci vorrebbe quindi un po’ più di serietà, anche perché non si capisce a sufficienza quanto questa crisi abbia bisogno di risposte in grado di rigenerare ottimismo nelle famiglie italiane, in modo che queste ultime facciano ripartire il motore della domanda interna che si è bloccato.
Intende dire che a essere in gioco è anche un fattore psicologico?
Siccome la domanda interna, sia per investimenti sia per consumi, dipende spesso da ottimismo o pessimismo, stiamo tutti cercando di mandare messaggi di speranza. Se è questo ciò che dobbiamo fare, deve essere chiara una cosa: i messaggi che mutano le aspettative delle persone sono quelli con una forte valenza quantitativa. La gente cambia cioè le sue aspettative non se vede dei micro-cambiamenti, ma di fronte a dei mutamenti certi in una direzione auspicata.
Come occorre intervenire per imprimere dei cambiamenti di questo tipo?
Per quanto riguarda il modello europeo, vanno rinegoziati gli accordi comunitari, anche per evitare che le famiglie e le imprese vivano nell’incertezza di un’eventuale patrimoniale record che si potrebbe abbattere su di loro di qui a un paio d’anni per soddisfare le richieste di Bruxelles. Per quanto riguarda invece il modello italiano, avendo firmato un documento sulla riduzione del debito e del deficit, bisognerà fare partire in modo serio la spending review.
Saccomanni parla di possibili risparmi da 30 miliardi. Lei che cosa ne pensa?
Il mio auspicio è che i 30 miliardi di cui parla Saccomanni siano trovati rapidamente. Carlo Cottarelli ha giustamente creato dei tavoli per identificare dove tagliare la spesa, anche se non mi sembra che questo sia al centro del dibattito. Spero che entro febbraio si dia un segnale molto forte. Ricordiamoci che, come in una qualsiasi giusta spending review, le risorse liberate dovranno poi essere spese bene. A quel punto suggerirei una combinazione di riduzione di tasse e di aumento degli investimenti pubblici. In questo senso mi preoccupa molto che con i tagli degli sprechi si sia creato un fondo dedicato semplicemente al cuneo fiscale, in quanto ciò non aiuta a fare ripartire la produzione, a differenza degli investimenti pubblici che garantiscono per definizione un aumento di domanda.
(Pietro Vernizzi)