Per rispettare le regole europee di equilibrio contabile l’Italia dovrà mostrare la capacità/volontà di reperire almeno 20 miliardi – ma potrebbero essere di più – nella legge di bilancio 2018 o tagliando la spesa pubblica o alzando le tasse. Qualora non ci riuscisse, scatterebbe un aumento pesante dell’Iva già deciso da un governo precedente come “clausola precauzionale” se, appunto, non si riuscisse in altro modo a rispettare l’obbligo di (quasi) pareggio di bilancio. Tale obbligo è stato inserito in Costituzione durante l’emergenza 2012-14 per dimostrare al mercato e all’Ue che l’Italia potrà sostenere l’enorme debito, intanto facendone di meno.
Il ministro dell’Economia sta cercando in questi giorni di ottenere dall’Ue il “permesso” di aumentare il deficit di bilancio programmato per evitare troppe tasse o tagli e l’attivazione della clausola che penalizzerebbero sul piano del consenso i partiti che sostengono il governo. Ma il governo Renzi ha già utilizzato tutta la flessibilità disponibile e sarà difficile per Padoan raggiungere l’obiettivo. Infatti, è probabile che alla fine la formula di riequilibrio per il 2018 vedrà minimi tagli di spesa, ma un aumento delle tasse, per esempio quelle patrimoniali travestite da riforma del catasto, e un residuo di flessibilità conquistata forzando previsioni di crescita del Pil superiori alle stime correnti, in un momento in cui l’Ue non vuole favorire forze antieuropee e chiude un occhio.
L’arrampicata sugli specchi di Padoan potrebbe riuscire a evitare il danno peggiore, cioè un aumento dell’Iva con effetti recessivi, ma confermerebbe l’immagine di un’Italia che non riesce a mettersi in ordine/equilibrio tagliando spesa e tasse. Ciò renderebbe l’Italia vulnerabile alla riduzione della protezione Bce sul suo debito, prevista dalla fine del 2017, agli occhi del mercato che lo rifinanzia per quasi 400 miliardi all’anno e indebolirebbe la sua forza negoziale nelle trattative sulla compattazione dell’Eurozona dopo le elezioni tedesche di settembre.
Tale scenario impatta sulla data delle elezioni. Alcuni le vogliono nel febbraio 2018 per lasciare al governo Gentiloni la responsabilità di misure impopolari, ma con il rischio di un rinvio del riequilibrio. Altri in settembre, per far votare a un nuovo parlamento politiche più incisive entro dicembre, ma con il rischio d’ingovernabilità post-elezioni. Quale rischio è razionale prendere? Elezioni a settembre per tentare di avere un governo più forte nei negoziati di ristrutturazione europea ed evitare il commissariamento.