Euro o Fiscal compact: uno dei due deve saltare. Secondo Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, il 2017 sarà un anno cruciale per il futuro dell’Europa, «perché queste due rigidità non possono più convivere. E così com’è, cioè accompagnato dal Fiscal compact, l’euro è diventato il capro espiatorio di una situazione di crisi evidente. I populismi si nutrono di Fiscal compact, quindi se non viene rimosso rapidamente ci troveremo in un mondo senza euro. Quest’anno abbiamo davvero un’occasione molto importante».
Perché?
Perché nel 2017 scadono i cinque anni che ci si è dati, all’entrata in vigore del Fiscal compact, per valutare se incorporarne il contenuto nell’ordinamento giuridico dell’Ue. È quindi l’ultimo momento in cui il nostro Paese può esercitare di diritto un peso rilevante, perché può dire di no. Teniamo conto che se anche avessimo una crescita forte del commercio mondiale, è difficile che la ripresa dell’occupazione si possa basare solamente sulla ripresa dell’export. Basti pensare al Sud Italia, dove non è bastata la svalutazione dell’euro. L’uscita dall’euro, che porterebbe alla svalutazione della moneta nazionale, non aiuterebbe più di tanto quelle zone.
Dunque lei difende l’euro…
Mi sembra evidente che l’Europa è sparita politicamente. Proprio quando siamo in un vivacissimo momento geopolitico, in cui attori rilevanti stanno riprendendo ruolo come la Russia, ci sarà un nuovo Presidente degli Stati Uniti che ha deciso di fare grandi cambiamenti e ci sarà sempre la Cina. Dov’è l’Europa? Cosa fa? Il punto è che si discute di dettagli, di regole burocratiche, mentre quello che serve è rappresentanza comune. E qui l’euro gioca un ruolo importantissimo, perché senza che nessuno se ne sia accorto, in questi anni di difficoltà, piaccia o no, ha fatto sì che i paesi dell’Eurozona continuassero a sedere allo stesso tavolo, a confrontarsi anziché andare ognuno per la propria strada.
Fermare il Fiscal compact aiuterebbe a far tornare l’Europa protagonista a livello globale?
Sì, se riusciamo a trovare la pace interna, grazie a politiche economiche giuste che creino occupazione in tutti i paesi. L’occasione c’è nel 2017, poi non torna più. Se non verrà colta siamo destinati a diventare la Disneyland del mondo. Perché, come si suol dire, se non sei al tavolo, sei nel menù.
Lei ha detto che l’occasione è da cogliere quest’anno. Diversamente cosa accadrà?
Tutti gli operatori economici prenderanno atto che viviamo in un mondo dove gli investimenti pubblici in momenti di difficoltà sono bloccati e continueremo a mantenere depresse le prospettive per gli investimenti privati. In buona sostanza si replicherà quello che abbiamo visto negli scorsi 7-8 anni, con la differenza che alle prossime elezioni politiche vedremo i partiti populisti vincere in tutta Europa. A quel punto meritatamente, perché quando non si fa rappresentanza politica della gente che soffre e che ha problemi, è giusto dare una chance a chi quella rappresentanza politica la fa.
Professore, ma cosa cambierebbe per l’Italia con la cancellazione del Fiscal compact, considerato che negli ultimi anni con Renzi noi non lo abbiamo applicato?
Quello che Renzi ha fatto è stato semplicemente rinviare costantemente l’aggiustamento verso il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal compact. Questo ha portato a pensare che quest’ultimo non si applichi, ma non è vero. Perché quello che sta crollando in Italia è il livello degli investimenti. E ciò perché su questo tema le decisioni delle aziende dipendono dalle aspettative sul contesto futuro. E se si vede che ci sarà un brusco rientro del deficit pubblico dovuto al rinvio del Fiscal compact non viene da pensare che la domanda degli italiani aumenterà, visto che questi temono di essere probabilmente tartassati. Alle imprese servono quindi maggiori certezze, altrimenti facilmente vanno altrove.
L’Italia può realmente giocare questo ruolo importante, può dire no al Fiscal compact e fermarlo?
Tutto dipende se il Governo sarà capace di battere cassa dicendo “vogliamo spendere di più” e affrontando poi la domanda chiave che verrà dopo: “sapete spendere?”. Purtroppo è vero che non sappiamo spendere, non abbiamo mai fatto una vera spending review. Questo Governo non si dovrà quindi limitare a mettere il veto, ma dovrà fare l’unica riforma rilevante che Renzi non ha avuto il coraggio di fare: una rivoluzione nel modo in cui spende la Pubblica amministrazione in Italia. Per questo è improponibile che Gentiloni si presenti al tavolo negoziale senza avere un progetto di spending review vero, non come quello dei suoi predecessori.
Il Governo Gentiloni appare però più debole del suo precedessore…
Se devo dire la verità, Renzi non è che su questo (e ne ha pagate care le conseguenze al referendum) abbia capito cosa c’era realmente in ballo. Quindi può darsi che se un esecutivo apparentemente forte non ce l’abbia fatta, uno apparentemente debole ce la possa fare. Se non sfrutteremo l’occasione, il prezzo politico che pagheremo sarà l’uscita dall’euro. Quindi un contesto di lungo periodo istituzionale drammatico per gestire la globalizzazione del XXI secolo.
Dunque l’Italia oltre a dire no dovrà mettere in campo una seria spending review.
Non esiste un mercato forte se non ha accanto una mano pubblica che interviene a suo sostegno in maniera funzionale, efficiente ed efficace. In Italia non l’ha fatto e questo spiega esattamente il ritardo che noi ogni anno abbiamo rispetto alla media dei paesi dell’Eurozona.
(Lorenzo Torrisi)