Lo spread è ritornato a valori più tranquillizzanti, quelli di questa primavera, quando si pensava che la battaglia sarebbe stata vinta dopo la prima manovra del “governo dei tecnici”. Non siamo ancora ai livelli sperati, i 200 punti che dovrebbero essere una stima più precisa. Ma indubbiamente siamo discesi da quelle pericolose oscillazioni vicino ai 400 punti di giugno, quando si è temuto il tracollo dell’euro, e anche dai 350 di fine estate. Ora il nostro spread si sta stabilizzando intorno ai 315 punti. Anche lo spread spagnolo è in discesa. È alla fine un sospiro di sollievo e sarebbe importante che questo valore si stabilizzasse, considerando che da adesso sino alla fine del 2013 vanno in scadenza 400 miliardi di titoli italiani. Il fatto che il rendimento dei nostri titoli si abbassi porta alla fine a un risparmio di qualche miliardo per le casse dello Stato. Su questo “sospiro di sollievo” concorda anche il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, docente di Economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica di Milano. Dice Fortis: «La situazione in questi ultimi giorni è migliorata. Devo aggiungere che, anche tornando ai livelli di questa primavera, si nota un ulteriore miglioramento, perché questa volta non ci sono stati costi. Detto questo, va tuttavia considerato il fatto che ci si muove in un mare di incertezze a livello europeo, spesso con fiumi di parole a ruota libera. Con il Cancelliere Angela Merkel, che oggi (ieri, ndr) ha pure fatto un discorso accettabile, e con il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che, purtroppo a turno, si scavalcano nelle loro dichiarazioni».
Insomma, l’incertezza politica dell’Europa è superiore ai suoi valori economici fondamentali.
Sì, questo è quello che appare e si può vedere. I fondamentali dell’Eurozona sono migliori di quelli delle altre parti del mondo. Il problema è che manca lo Stato europeo. Il dato peggiore è il fatto che l’Europa non è uno Stato. Ora il raffreddamento dello spread è positivo. Ma per quanto riguarda il mercato del credito, per quanto riguarda l’economia reale, le difficoltà non vengono risolte. Questo problema ci accompagnerà, temo, per lungo tempo. Il valore attuale dello spread è frutto sia dell’azione fatta da Draghi, con le dichiarazioni di intervento della Bce, sia (si spera) del fatto che i mercati cominciano a inquadrare la vera realtà italiana. In ogni caso resta un persistente divario tra le economie dell’Eurozona che incide sul piano della competitività e della crescita.
Ma la credibilità italiana sui mercati e a livello internazionale è stata recuperata da questo “governo dei tecnici” e dal premier Mario Monti.
Questo è verissimo, indubitabile ed è merito di questo governo dopo la confusione politica di un anno fa. Il problema, però, è che noi dobbiamo continuamente crearci una credibilità dovendo fare i conti con valutazioni fatte da giornalisti, analisti esteri, da agenzie di rating che non conoscono la realtà del nostro Paese, che non valutano bene i fondamentali italiani. Io non ho mai capito, da anni, perché tanti indicatori che sono a disposizione di tutti non vengono neppure presi in considerazione quando si parla dell’Italia. È molto più semplice spiegare a uno studente che l’Italia è una cosa e la Spagna è un’altra cosa. Lo capiscono al volo. Ma se si pensa che lo spread italiano è stato per un certo periodo addirittura superiore a quello spagnolo, ci si domanda quale condanna dobbiamo trascinarci dietro.
Come si potrebbe ovviare a questa scarsa credibilità?
Su questo insisto da anni. Ci vuole una comunicazione più aggressiva da parte italiana sui mercati. È vero, ci sarà la corruzione, ci saranno tante cose che non vanno bene, ma ci sono cose che vanno bene e sono migliori di quelle che esistono in altri paesi. È possibile che nessuno guardi i dati Eurostat del 2011? Insomma, sono a disposizione di tutti e ci spiegano che la ricchezza delle famiglie italiane è seconda solo al Belgio. Segnalo poi una tabella pubblicata nell’ultimo Global Wealth Databook del Credit Suisse Resarch Institute elaborato da un economista (Shorrocks) dell’Università delle Nazioni Unite e da un altro economista (Davies) della Western University dell’Ontario, i due massimi esperti mondiali in materia di ricchezza. Evidentemente non sono il solo a sostenere che è utile rapportare il debito pubblico (in questo caso netto) alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie per avere un quadro più completo della sostenibilità finanziaria delle diverse economie.
Cosa dice questo quadro rispetto all’Italia?
La situazione del debito pubblico italiano apparirebbe in tal caso più vicina a Germania e Francia, mentre peggiorerebbe molto la Spagna. Per non parlare di Grecia e Irlanda. È altrettanto interessante notare come il rapporto debito pubblico/ricchezza netta delle famiglie italiane dal 2000 al 2011 si sia mosso su un trend relativamente costante, mentre sono cresciuti molto i rapporti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna e Grecia.
Eppure l’Italia sembra sempre al centro di critiche e come una “sorvegliata speciale” sui mercati.
Quindi dobbiamo continuare a cercare di convincere i mercati che siamo molto meno ammalati degli altri. Anche perché le valutazioni degli analisti esteri – grazie anche alla nostra mancanza di comunicazione e al fatto che vengano trascurati tanti indicatori economici – non offrono affatto una percezione reale dell’Italia. E per tutto questo si è costretti a fare addirittura una politica prociclica, con sacrifici che sono paragonabili a quelli della Grecia, senza essere affatto la Grecia e neppure la Spagna.
(Gianluigi Da Rold)