Tutti ad evocare, in questi giorni, centrismi, smottamenti e riposizionamenti vari. I diretti interessati negano a oltranza di voler rifare la Dc. Quindi, vogliono rifare la Dc. Chiamandola in altra maniera, ovviamente. Almeno, per scaramanzia. Sta di fatto che Berlusconi, per la prima volta in 20 anni, è stato messo in minoranza nel suo partito. Anzi, ci si è messo da solo, votandosi contro. Un voto di sfiducia al governo Letta avrebbe spinto le circostanze oltre il precipizio. La fiducia all’ultimo minuto ha conferito un corso inaspettato agli eventi, introducendo nuove opportunità. Roberto Mazzotta, presidente dell’Istituto don Luigi Sturzo, ci spiega quali sono.
Come interpreta quanto accaduto in Senato?
Si tratta di una svolta destinata a produrre frutti. Il Pdl si stava trasformando in una formazione connotata dall’estremismo protestatario e stava mettendo in crisi il governo, proprio in una fase tra le più delicate dell’ultimo secolo. Ma, all’ultimo, ha cambiato linea. Lasciando emergere una classe dirigente qualificato dalla moderazione nella cultura e nell’atteggiamento, simile a quella del partiti tradizionali europei.
Non crede che tuttora sia in corso una dialettica tra le fazioni opposte del Pdl?
Certo. Ma la posizione che è emersa destina il partito ad un’alternativa rigida. Nella prima ipotesi, quella peggiore, ci sarà uno scontro durissimo e l’ala estremista risulterà quella più forte, anche grazie all’appoggio di Berlusconi. Tale circostanza, inevitabilmente indurrà la scissione dell’ala più moderata; nella seconda, la più utile per il Paese nonché, a mio avviso, la più probabile, la guida del Pdl sarà assunta dalla classe dirigente popolare ed europea.
In tal caso, Berlusconi dovrebbe farsi da parte.
Per forza. D’altra parte, c’è una questione anagrafica ormai ineludibile.
Comunque vada, si costituirà il grande centro di cui ha parlato Casini nella sua intervista a Repubblica?
Casini ha fatto presente che, in tutta Europa, i sistemi politici sono connotati da due grandi partiti – socialdemocratici e popolari – che si alternano alla guida del governo e non hanno tra di loro grandissime differenze rispetto alla politica sociale. In ogni caso, se nel Paese prevarranno una destra e una sinistra estremizzate, il grande centro sarà obbligatorio. Se, invece, a sinistra avremo un partito socialdemocratico guidato, magari, da Renzi e, a destra, uno moderato-popolare guidato da Alfano, allora il centro politico sarà rappresentato da quest’ultima formazione. Il centro come luogo fisico situato in mezzo alle ali radicalizzate, invece, sarà inutile.
Ma a quel punto, continueranno ad esserci, in Italia, due o più schieramenti che si richiamo al Ppe?
A quel punto, chi si chiamerà fuori dalla costituzione di un unico partito, lo farà perché ama la “preziosità” del suo 3%… Credo, tuttavia, che sia Monti che Casini farebbero molto bene a concorrere a questo sforzo comune. Iniziando a sostenere, assieme al Pdl, delle liste comuni in occasione delle Europee. Contestualmente, i “superberlusconiani” con i coltelli tra i denti dovranno decidere se stare in una formazione del genere o se andare altrove. Sarebbe meglio che scegliessero questa seconda opzione.
Se, invece, prevarranno gli estremisti, potrebbe determinarsi un centro che vada da Alfano a Letta?
Ne parliamo esclusivamente come ipotesi rigorosamente teorica e pessimistica. Non la ritengo, infatti, verosimile. Tuttavia, se il Paese dovesse spaccarsi tra opposti estremisti, sarebbe naturale che la gente normale si mettesse assieme.
Torniamo al caso in cui prevalga un centrodestra moderato. Chi ne sarà il capo?
Con Berlusconi da parte, verranno meno anche i tic berlusconiani degli ultimi 20 anni, che hanno caratterizzato entrambi gli schieramenti: non si porrà più, in particolare, il problema del leader carismatico. Il segretario, o il presidente, saranno scelti da un congresso. Se il partito non sarà in grado di sostenere la dialettica interno che esso comporta, poco male, faranno le primarie, un sottoprodotto dei congressi.
(Paolo Nessi)