Stefano Folli, nella sua analisi a caldo del disastroso esito finale del voto amministrativo per il Pd, ha indicato nel tentativo di “ribaltone” una prima “scorciatoia” che l’ormai molto-ex partito di governo potrebbe voler imboccare, nell’illusione di poter evitare un duro confronto con la realtà del dopo-4 marzo. La prospettiva è quella che proprio Repubblica — il giornale per cui scrive Folli — coltiva quotidianamente, come classica profezia speranzosa di auto-avveramento: che M5s si renda conto di aver commesso un (presunto) grave errore nell’allearsi con la Lega, faccia cadere il governo Conte e decida di formarne uno “di sinistra” con il Pd.
Folli liquida l’ipotesi nella forma: sarebbe un’obsoleta “manovra parlamentare” tipica della prima repubblica (e sopravvissuta nella seconda con il primo blitz di Bossi contro Berlusconi e poi in occasione delle congiure interne al centrosinistra: D’Alema contro Prodi, Amato-Cossiga contro D’Alema e Renzi contro Letta).
Ma è nella sostanza che il ribaltone — vagheggiato-sollecitato non solo da Repubblica — sembra davvero un miraggio: è stato il Pd di Renzi, dopo il 4 marzo e prima dell’ultimo colpo di grazia alle amministrative, a rovesciare un tavolo di trattativa con M5s cui il presidente Mattarella per primo guardava con attenzione (e lo sgarbo televisivo di Renzi non è stato in fondo minore della richiesta di impeachement da parte di Di Maio nelle ore concitate del caso Savona). E prima di ogni altra considerazione: perché M5s dovrebbe far cadere un governo “funzionante”, con buon seguito ai primi test elettorali e nei sondaggi? Perché farlo quando M5s sta calando le sue prime carte di governo (decreto-dignità e reddito di cittadinanza)? Più prosaicamente ancora: perché farlo quando Di Maio e i suoi compagni di partito stanno entrando proprio ora in tutte le stanze dei bottoni italiane? Per “salvare l’Italia” da cosa? Fra i governi più recenti sono molto più traballanti quello guidato da Merkel a Berlino e da Sanchez a Madrid. Per non parlare della Ue dei para-tecnocrati alla Juncker.
Non è un caso che il “partito di Repubblica” (ancora vitale a confronto della paralisi del Pd) stia provando a battere un’alternativa, la “via Saviano”. Lo scrittore campano, alfiere di ogni resistenza civile a ogni “malavita” è quotidianamente in campo come anti-Salvini. E’ un role-play per lui abbastanza sperimentato — soprattutto avendo alle spalle la potenza di fuoco del gruppo Gedi — e d’altronde non ha quasi concorrenti (perfino professionisti dell’antagonismo politico-mediatico come Marco Travaglio e Milena Gabanelli sono per diverse ragioni frenati dalla presenza di M5s come partner di maggioranza della coalizione di governo).
Non è neppure la prima volta che una copertina dell’Espresso o un j’accuse sparato sulla prima di Repubblica sembrano proporre l’autore di Gomorra come candidato leader “di tutte le sinistre”: una sorta di Emma Bonino giovane, non contaminata da compromessi di potere, più che potenziale incrocio di molte istanze (dalla sinistra libertaria ai cosiddetti ceti riflessivi urbani, dalle élites cosmopolite antisovraniste fino a vaste frange del mondo cattolico, oggi molto silente in Italia).
In concreto il “piano Saviano” appare più a medio termine: guardando al minimo alle elezioni europee del maggio 2019, nella speranza che il governo giallo-verde compia qualche passo falso o si scontri duramente con la Ue franco-tedesca. Al momento non sembra tuttavia uno scenario probabile. Domenica sera, subito dopo il pre-vertice Ue sull’immigrazione, il Financial Times titolava: “L’Italia manda il pezzi il summit salva-Merkel”, non il contrario.
E a proposito, infine, di salvagenti europei: il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina, ieri mattina evocava una rapida e irrinviabile “svolta Macron” per il partito in avvitamento elettorale. Qui il commento può stare tutto in una domanda: quanti italiani voterebbero oggi un “Macron usato”? Quello che insulta l’Italia come “vomitevole” sui migranti, ma tarda ad aprire i suoi porti anche per la sola nave Lifeline. Anzi: il Macron che cerca una photopportunity in Vaticano — svicolando furtivo nella capitale italiana — quando il vicepremier italiano autorizza l’attracco di una nave a Pozzallo. E il Financial Times tiene in homepage questo scoop: “L’Austria prepara la linea dura sui migranti nel suo semestre di presidenza Ue”. Non c’è un singolo “uomo nero” in giro per l’Europa. Ci sono molti uomini — e donne — in fuga.