Per Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, è “gravissimo” che la Fondazione Monte Paschi abbia posticipato a giugno l’aumento di capitale proposto dal presidente Profumo e dall’ad Viola: «La comunità locale ha tutto l’interesse a che arrivi una grande banca che rassicuri i piccoli azionisti e le piccole e medie imprese. Vuol dire che il Pd nuova versione è un insieme di potentati locali con la vecchia struttura come concezione». Inoltre, con questa decisione la Fondazione è riuscita a mettere l’Italia in una “situazione pessima” dal punto di vista delle strategie internazionali riguardanti l’Unione bancaria e le politiche della Bce: «Per mantenere il controllo di questa rete clientelare stanno rischiando la nostra reputazione. Naturalmente sperano nel paracadute della politica». Nell’incertezza generale, rimarrebbe il rischio sistemico: «Il governo potrebbe fare una norma che dice che l’aumento di capitale si deve fare adesso, in quanto il prestito subordinato comporta un dovere collettivo. Questo era nella concezione iniziale di Tremonti, quando fu concesso il prestito a Mps».
Professore, che idea si è fatto di questa vicenda?
Il problema è gravissimo. Il Pd controlla il Monte Paschi tramite la Fondazione e la Fondazione è riuscita a imporre la sua volontà tramite una folta schiera di piccoli azionisti che o sono suoi clienti, cioè personale che lavora per Mps o altro personale che ha interesse alla rete di clientele che si è creata tra Pd, cooperative di vario genere, enti pubblici locali, ecc. Tramite questi piccoli azionisti, e tramite la sua maggioranza formale, la Fondazione è riuscita a imporre una delibera che mette l’Italia in una situazione pessima dal punto di vista delle strategie internazionali riguardanti l’Unione bancaria e le politiche della Bce. Da notare che il prestito che avuto dallo Stato gli conta come capitale sociale anche se non lo è.
Perché l’Italia si trova ora in una situazione pessima?
Perché tramite questa operazione la terza banca italiana, Mps, rifiuta di ricapitalizzarsi adesso con un consorzio di banche “eterogeneo”, con Ubs che è una banca svizzera, intermediari finanziari come Goldman Sachs, una banca americana come Citibank, e Mediobanca, le quali garantiscono la sottoscrizione di 3 miliardi. Un metodo quindi del tutto ragionevole per creare quel modello di capitalismo diffuso, di public company di natura internazionale che ci occorre per rafforzare sia il nostro sistema bancario, dal punto di vista della capitalizzazione e della capacità di trasmettere il credito dal livello del tasso di interesse della Bce a quello dell’operatore economico, sia per garantire la solvibilità del nostro debito pubblico. Non dimentichiamo che Mps ha un’elevata quota di debito pubblico italiano e se una banca internazionale viene a operare in Italia ha tutto l’interesse a sorreggere il meccanismo del nostro debito pubblico.
Cosa bisogna fare?
La soluzione proposta dal presidente Profumo e dell’ad Viola era ottimale per presentarci alla sfida dell’Unione bancaria europea. Mentre Unicredit e Intesa Sanpaolo hanno buoni parametri, o nel caso dovessero fare aumenti di capitale non avrebbero problemi a trovarli sul mercato, rimane il problema di questa terza banca. Ora con questo punto debole l’Italia rimane esposta doppiamente.
In che senso?
Nel senso che non può agire da protagonista dell’Unione bancaria, ma deve stare in silenzio. I tedeschi infatti ci sbeffeggiano perché abbiamo chiesto l’Unione bancaria ma poi non sappiamo sottostare alle sue regole. E anche la Bce si trova in difficoltà perché ha fatto una politica che doveva aiutarci e in questo modo invece si dimostra quello che i tedeschi temono.
Cioè?
Che in realtà questa politica serve a farci guadagnare tempo, non per risolvere i nostri problemi. Ma come fa l’Italia a internazionalizzarsi e a richiamare gli investimenti esteri se continua ad avere questo atteggiamento provinciale? In più..
In più?
Questo legame politico risale a Matteo Renzi, che sarebbe l’innovatore. C’è quindi motivo di preoccuparsi: almeno fosse il vecchio Pd, invece è il nuovo Pd! Che usa quelle che Renzi chiama con temine veramente goliardico, vergognoso “marchette”; sono “mance” si potrebbe dire, mance grosse. Non è un bello spettacolo quello cui stiamo assistendo. Per mantenere il controllo di questa rete clientelare stanno rischiando la nostra reputazione. Naturalmente sperano nel paracadute della politica.
Un paracadute di che tipo?
Si aspettano che ci siano interventi politici che risolvano il problema finanziario.
Che alternative ci sono?
La Fondazione, il controllore, se vuole può andare anche lei sul mercato, creando una società e chessò emettere titoli. Invece ha imboccato questa via politica che indica che la fondazione è uno strumento di una concezione del partito, del Partito comunista toscano che adesso è diventato leader del Pd italiano. C’è poi un’altra cosa.
Quale?
La cosa preoccupante che la presidente della Fondazione è anche vice presidente della Confindustria, anche lei sul carro di Renzi. Una persona che respinge il capitale internazionale dicendo che è interessata alla propria fondazione. Ma da presidente di una fondazione dovrebbe essere interessata al beneficio dei terzi. Se fosse una società per azioni dovrebbe fare l’interesse degli azionisti. Ma l’interesse di una fondazione statutariamente deve essere la comunità. E la comunità locale così ci perde.
Perché ci perde?
La comunità locale ha tutto l’interesse a che arrivi una grande banca che rassicuri i piccoli azionisti e le piccole e medie imprese della Toscana e del Veneto dove questa banca è localizzata. L’interesse vero della fondazione coincide con quello della comunità. Non riuscire a capire questo concetto giuridico ed etico significa un ritardo culturale grave. In sostanza, vuol dire che il Pd nuova versione è un insieme di potentati locali: quello di Roma, quello dell‘Emilia, e altri che man mano si formano. Rimane la vecchia struttura come concezione.
Escluderebbe qualsiasi tipo di intervento dello Stato?
No, non lo posso escludere perché se c’è un rischio sistemico lo Stato è costretto a intervenire. Non sappiamo cosa capiterà da qui a giugno. I tassi di interesse devono salire. Può darsi che un nuovo consorzio non si riesca a fare o che a Mps non piaccia di nuovo. In un’incertezza del genere il governo potrebbe fare una norma che dice che l’aumento di capitale si deve fare adesso, in quanto il prestito subordinato comporta un dovere collettivo. Questo era nella concezione iniziale di Tremonti.
A cosa si riferisce?
A una nozione etica di carattere collettivo. Essendo essa una fondazione se si comporta così potrebbe essere sciolta perché agisce in modo contrario ai principi delle fondazioni. Il governo deve avere il coraggio di prendere questa posizione dicendo: “Voi siete il terzo settore, quindi potete avere una vostra ideologia, ma dev’essere comunque comunitaria, non può essere localistica e dei vostri lucri perché siete una no profit. Al limite potete perdere tutto il vostro capitale se è necessario per il bene comune”. Questo deve fare lo Stato. Se non lo fa c’è il rischio sistemico e alla fine deve intervenire magari con una nazionalizzazione parziale. D’altra parte l’idea di far intervenire la Cassa depositi e prestiti è una via traversa inaccettabile.
Perché inaccettabile?
Perché la Cdp è a maggioranza pubblica, sarebbe ancora uno strumento di intervento pubblico emergenziale che prelude una successiva privatizzazione. Ma nello stesso tempo mette in luce che è la finanza pubblica che si è impegnata. In pratica è la nazionalizzazione fatta con un altro sistema.