«Sulle dismissioni del patrimonio immobiliare siamo di fronte a un eterno ricominciare da zero, e il vero ostacolo non è politico, bensì la ferma opposizione da parte dei vertici tecnici del Mef». Lo afferma Oscar Giannino, giornalista economico, dopo che il ministero dell’Economia ha scritto al Demanio e agli Enti locali per chiedere loro di individuare edifici pubblici disponibili per la vendita. La lettera inaugura il progetto “Proposta Immobili 2015” che, come sottolinea il Mef in un comunicato, “ha l’obiettivo di individuare e selezionare proprietà pubbliche da utilizzare per operazioni di dismissioni immobiliari, da realizzarsi entro l’anno”.
Che cosa ne pensa della lettera inviata dal ministero dell’Economia?
Il fatto che il Mef chieda al Demanio e ai Comuni di andare a caccia di cespiti da valorizzare è una vera e propria barzelletta. Da almeno otto anni la ricognizione è stata fatta, ma è risultato evidente che il cuore dell’amministrazione pubblica italiana non crede affatto all’opportunità e alla necessità di una seria operazione sul patrimonio immobiliare pubblico.
Prima di passare alla vendita, non è necessaria una radiografia?
La radiografia del patrimonio esiste già. Tutte le volte che si leggono notizie di questo tipo segnalano semplicemente il fatto che il cuore dell’amministrazione pubblica ricomincia da capo perché non vuole intraprendere una delle tante strade possibili.
Perché è tanto difficile vendere delle ex caserme?
Da anni si parla della cessione delle caserme, con un rimpallo di responsabilità su chi e dove lo doveva operare e oggi è tornata a pieno carico della Difesa perché se quest’ultima non porta a casa dei soldi sa che scatteranno dei tagli nei suoi confronti nella prossima Legge di stabilità. Sono molto scettico perché in questi anni nella realtà dei casi le dichiarazioni dei ministri pro-tempore o dei capi delle agenzie sono sempre state che i valori scendevano e che non era il momento giusto per vendere. La conseguenza è stata che una grande operazione non è mai partita.
Quale sarebbe secondo lei la soluzione?
La soluzione migliore sarebbe stata un grande fondo immobiliare, costituito non secondo il diritto italiano che lo esporrebbe a enormi difficoltà amministrative, ma secondo il diritto commerciale britannico, per poi lanciare una gara internazionale aperta ai maggiori player mondiali. Tutte queste idee sono rimaste nel cassetto e ancora oggi siamo in presenza di un eterno ricominciare da zero. Il vero motivo non è che i politici si oppongono, ma che sono i vertici tecnici del Mef a farlo.
Ora il governo deve fare una spending review da 10-15 miliardi. Troverà il coraggio di farlo anche a costo di perdere consensi?
La scelta politica di fondo di questo governo quando nacque un anno fa fu quella di concentrarsi sul bonus da 80 euro, cui quest’anno si è aggiunto anche il bonus per le assunzioni a tempo indeterminato. Nello stesso tempo la spending review di Cottarelli, che era già pronta, è stata rinviata e si è confidato sul fatto che avremmo avuto margini più favorevoli da Bruxelles a fine anno. Avere rinunciato a 34 miliardi di minor spesa in tre anni, preventivati da Cottarelli, ha portato alle clausole di salvaguardia fiscale che il governo è stato obbligato a mettere nella Legge di stabilità perché altrimenti l’Ue non ci avrebbe mai dato l’ok.
Con quali conseguenze?
La conseguenza sono 16 miliardi di aggravi di entrate. Possiamo contare su 4/6 miliardi di minori interessi sul debito che ci regala la Bce col Quantitative easing, ma restano 10 miliardi. È quest’ultima la somma della nuova spending review affidata a Gutgeld.
Gutgeld riuscirà a trovarli?
Se consideriamo che l’impegno dell’Italia con l’Ue non è quello di restare al 3%, ma di scendere a 1,7% e poi a 1,4%, vuol dire che bisognerà reperire altre risorse. I 10 miliardi di conferma del bonus da 80 euro vanno inoltre finanziati anche nel 2016, e a questa cifra si sommano i 2 miliardi di decontribuzione per il 2016. Ci sono quindi altri 12 miliardi da reperire, proprio nel momento in cui il deficit deve diminuire.
Quali sono le responsabilità del governo?
In queste condizioni avere rispedito Cottarelli negli Stati Uniti e avere abbracciato le clausole di salvaguardia è il vero motivo per il quale oggi il governo è inchiodato a una realtà contabile che gli impedisce di lanciare segnali fiscali che oggi sarebbero necessari. Anziché aspettare la Legge di stabilità a finire anno, occorrerebbe infatti intervenire adesso sulla spesa. Tanto più lo si fa energicamente, riprendendo le idee di Cottarelli, tanto più si avrà un margine aggiuntivo non solo per evitare la clausola di salvaguardia, ma anche per mettere in campo ulteriori sgravi fiscali.
(Pietro Vernizzi)