La crisi in cui, secondo una visione ormai ampiamente condivisa da tutte le parti politiche, versa il paese necessita di interventi a tutti i livelli in cui si articolano la società civile e le sue istituzioni: dalla crisi della politica all’emergenza educazione, dai fallimenti del mercato agli eccessi di un welfare state divenuto insostenibile sul piano finanziario, dalle difficoltà in cui versa l’economia nazionale all’eccessivo prelievo fiscale – che spinge sotto la soglia di povertà parte della classe media – tutto concorre ad indicare l’impellente necessità di un cambiamento.
Affrontare la crisi alle radici – La Francia ha incaricato la Commissione Attali di progettare un sistema articolato di riforme destinate a “liberare la crescita francese”. Un obiettivo che anche l’Italia, le cui stime di crescita vengono continuamente riviste al ribasso precipitando inesorabilmente verso lo zero, non può più permettersi di rimandare. Occorre prendere coscienza del fatto che, essendo globale, la crisi va affrontata alla radice, cioè secondo un respiro altrettanto ampio, omnicomprensivo.
Che conseguenze implica tale situazione sulla gestione della pubblica amministrazione? Le conseguenze sono imponenti. Siamo di fronte alla necessità di innovare non singoli aspetti della gestione amministrativa ma il modo stesso di concepirla e di attuarla nel suo insieme. Occorre, in estrema sintesi, un modo nuovo di concepire lo Stato, in tutti i livelli in cui si articola, una nuova statualità che abbia nella sussidiarietà il suo principio guida e nel federalismo fiscale la sua prima modalità attuativa.
Sussidiarietà è una parola dalle molteplici sfaccettature; se riferita all’azione amministrativa, essa significa conoscenza della realtà su cui l’amministrazione va ad incidere e del bisogno che essa si propone di incontrare, lettura del bisogno a partire dalla persona e non dall’immaginario che si insinua nei meandri della burocrazia, visione integrata dei problemi superando la parcellizzazione propria della logica legalistica delle competenze, capacità di innovazione per dare concretezza a questo nuovo modo di essere e di agire del settore pubblico.
A sua volta, il federalismo fiscale – di cui per ora si è solo parlato nel nostro paese – significa mettere in opera meccanismi di responsabilizzazione nella gestione del denaro pubblico che spingano ad un uso efficiente delle risorse, creando vincoli più stretti tra chi paga l’imposta e chi ne gestisce il cespite; decentrare insomma, ma non per moltiplicare bensì per razionalizzare. D’altronde i “costi del non federalismo” sono stati ampiamente documentati l’anno passato da una prima ricerca di Unioncamere Veneto, confermata quest’anno da un secondo rapporto, che dimostra come adottare un sistema decentrato simile a quello spagnolo ci permetterebbe di risparmiare 14 miliardi di euro (lo 0.9% del Pil), mentre uniformandoci ai tedeschi il risparmio potrebbe arrivare a 27 miliardi, l’1.8% del Pil. L’esempio di Spagna e Germania, dunque, dimostra che innovare è possibile e urgente.
La riforma lombarda – Esistono in Italia esempi, anche se non completi, di un inizio di innovazione secondo le linee descritte? A questa seconda domanda si può rispondere solo mostrando quanto si è fatto a livello regionale da parte di un’amministrazione, quella lombarda, che – pur con tutti i vincoli che provengono da una storia e da una prassi di centralismo statalista – si è mossa con decisione in una direzione di rinnovamento, sfruttando i margini di azione aperti dalle Leggi Bassanini e dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
Dalla metà degli anni ‘90 la Regione ha iniziato un processo di riforma interno ed esterno, trasformandosi per mettersi al servizio delle persone e della loro libertà di scelta, delle imprese e della loro capacità di costruire, dei corpi sociali e dei loro tentativi di rispondere al bene comune. Qualche numero può servire ad illustrare tale cammino. Un sistema sussidiario richiede un’amministrazione leggera ed efficiente: la macchina regionale lombarda oggi costa 40 euro a cittadino, contro gli 80 di molte altre realtà regionali, come conseguenza di una drastica riduzione dei funzionari (da 4431 nel 1995 a 2871 attuali), dei dirigenti (da 548 a 250) e delle consulenze, progressivamente sostituite da modalità di acquisizione delle conoscenze connesse a forme di partecipazione della società civile al governo della cosa pubblica. Sul piano dei contenuti, oltre ai molti interventi infrastrutturali e di miglioramento della qualità della vita, la Regione si è mossa costantemente nell’ottica della valorizzazione del proprio capitale umano (ingenti gli interventi compiuti sulla formazione del personale; nel 2007, ad esempio, sono stati investiti nella formazione del personale circa 1,9 milioni di euro, di cui 350mila euro per l’alta formazione manageriale; nel 2008 è previsto il superamento dei 2 milioni) e di quello della società civile (basti pensare allo sforzo compiuto per dotare la regione di un moderno ed efficiente sistema di formazione professionale nonché il cammino di riforma dei servizi al lavoro).
La Dote – Il processo di rinnovamento in senso sussidiario attuato dalla Lombardia trova oggi il suo fronte più avanzato nell’adozione del sistema della Dote nel settore dell’istruzione, formazione e lavoro. La Dote è un insieme di risorse in denaro e servizi, che vengono destinate direttamente al cittadino affinché stabilisca e rafforzi tutte quelle relazioni sociali che valorizzano e sviluppano al meglio il suo capitale umano. Benché ancora in fase sperimentale, questo strumento serve a unificare gli interventi, personalizzandoli e semplificando le modalità di accesso agli stessi, oggi prevalentemente on line. Esso mira a favorire la libertà di scelta del cittadino, che ha a disposizione non un singolo produttore pubblico, l’amministrazione, che agisce per lo più in regime di monopolio, ma una serie di operatori accreditati che – dentro un quasi-mercato – forniscono servizi.
Negli ultimi due anni i settori della formazione professionale e dei servizi al lavoro in Lombardia sono stati riformati secondo la logica appena descritta, attraverso l’istituzione della Dote per sostenere la domanda e dell’Accreditamento per regolare l’offerta. I primi risultati confermano il potenziale innovativo di questo strumento: già nel suo primo anno di attuazione la Dote Formazione ha modificato la “geografia” del sistema, premiando gli enti che meglio sono riusciti ad intercettare e rispondere al bisogno dei cittadini, e generando una crescita complessiva dell’offerta (i percorsi sono passati da 416 a 572 e 35 nuovi enti hanno avuto accesso ai finanziamenti). Anche per quanto riguarda il sostegno all’istruzione, si è provveduto a trasformare la politica lombarda del Buono scuola nella Dote scuola, che fa convergere in sé il Buonoma anche tutti gli interventi che venivano in precedenza attuati nel settore del diritto allo studio ordinario (assegni di studio, borse, rimborso per le spese per i libri di testo).
Dal punto di vista amministrativo, la Dote consente una notevole riduzione degli oneri gestionali e una semplificazione nell’uso delle risorse, poiché tutte le fonti di finanziamento convergono su un unico strumento, costituito da diverse componenti modulabili in base ai bisogni delle persone. Ma la Dote è molto di più: è un’occasione unica di “riforma dal basso” della Pubblica amministrazione. Con la Dote, infatti, la PA si trova di fronte al ritorno del cittadino come oggetto centrale delle sue azioni e del suo dialogo: non un cittadino “astratto” o “idealizzato”, ma una persona in carne e ossa, con problemi, bisogni e relazioni altamente diversificati. I funzionari sono costretti ad accorgersi che le persone sono diverse da come le si immaginava, che reagiscono e percepiscono diversamente le azioni e le proposte fatte, che hanno esigenze mutevoli e in continua evoluzione. Nuovi fattori dell’agire pubblico (velocità, puntualità, capacità di ascolto e di lettura della realtà, flessibilità, assunzione di responsabilità nei confronti dei risultati, temporaneità dell’azione pubblica) diventano importanti, favorendo il superamento di antichi mali, come l’immutabilità dei processi amministrativi, l’ossessione per le procedure, la concertazione intesa come preallocazione delle risorse.
Fattori concreti – Questi fattori di cambiamento non sono teorici; nascono da un’esperienza concreta e quindi possono essere rielaborati e riproposti anche in altre realtà, purché si tenga conto del fatto che i risultati sono stati ottenuti in divenire: niente è stato automatico, ma tutto ha richiesto un impegno congiunto di manager e politica per sfruttare al massimo gli spazi disponibili e per crearne di nuovi, a volte precorrendo i tempi, come è stato ad esempio per la riforma sanitaria, ormai consolidata, e come sta avvenendo oggi con la legge 19 sul sistema educativo di istruzione e formazione professionale.
Il processo di cambiamento in atto in Lombardia da più di dieci anni ha potuto realizzarsi e continua a crescere perché partecipa della stessa natura culturale che ispira la leadership politica, fondata sulla scommessa sulla persona, sulla sua libertà e creatività. La persona, infatti, viene prima dello Stato. Se sussidiarietà è dunque la parola chiave che interpreta tutto il processo descritto, occorre infine ricordare che essa non nasce in astratto ma si fonda su tre pilastri: fiducia, responsabilità e libertà di scelta, a loro volta espressione di una visione antropologica positiva che considera l’uomo non un essere da “assoggettare” e “condurre”, ma una risorsa da valorizzare.