Ieri Maurizio Belpietro ha fatto un utile confronto sul modo con cui le grandi testate nazionali avevano dato (o non dato) la notizia dell’indagine sul padre di Matteo Renzi e quello con cui è stata accolta la contro-indagine sul carabiniere che avrebbe taroccato qua e là i verbali. Riquadrini in copertina nel primo caso, titoloni di apertura nel secondo. Il paradosso più eclatante è quello della Stampa di Torino e del Tempo di Roma: lo scorso 17 febbraio non avevano nemmeno messo la notizia su babbo Renzi in prima, mentre l’altro giorno hanno sparato a tutte colonne le indiscrezioni sulle falsificazioni.
Due pesi e due misure per il babbo di Matteo (ma anche per il fedelissimo Luca Lotti). Di solito avviene il contrario, titoli urlati per l’avviso di garanzia e quattro righe in fondo al giornale per le archiviazioni. Qui no. La manina che corregge le deposizioni vale più del traffico di influenze. Bisogna ammettere che il caso è strano. I militari che avevano svolto le indagini erano già stati sospettati di aver favorito una fuga di notizie (a favore degli indagati). Ora è la volta dei verbali manipolati da un altro ufficiale dell’Arma, per il quale la difesa invoca la fretta e il passaggio di consegne tra una procura e un’altra. Ma secondo l’inveterato costume italico s’avanzano anche pesanti ombre di macchinazioni, complotti, depistaggi aventi sullo sfondo gli immancabili “servizi deviati”. E riemerge l’antico interrogativo latino, “cui prodest“, a chi giova gettare fango sul Giglio magico e immacolato e sulla sacra famiglia di Rignano.
Sembra che molti giornali non aspettassero altro per tirare un sospiro di sollievo. Il giovine Renzi trascinato nel gorgo dello scandalo Consip non è cosa che si possa immaginare in tempi di grillismo rampante. L’inchiesta sarebbe tutta una manovra per trascinare nel fango Matteo Renzi attraverso il padre. Nei fatti questa è un’importante vittoria di immagine per l’ex presidente del Consiglio nel pieno della campagna verso le primarie. La sua leadership sul partito viene rafforzata, e così pure la sua presa sul governo Gentiloni in una fase cruciale, quella della presentazione del Documento di economia e finanza e del braccio di ferro con i falchi della Commissione europea.
Ma soprattutto questi sono i giorni in cui i luogotenenti del segretario dimissionario compilano le liste per il rinnovo dell’assemblea nazionale del Pd in vista della votazione del nuovo segretario. Liste che tra qualche mese saranno la base sulla quale stilare l’elenco dei candidati bloccati per il nuovo Parlamento. È il momento in cui la “renzizzazione” del Pd può davvero avvenire in modo massiccio e soprattutto lontano dai riflettori della grande stampa, impegnata a rivelare le trame occulte anti-Matteo.
Sul versante giudiziario è molto presto per tirare conclusioni. La presunzione d’innocenza vale per tutti, valeva prima e vale ora anche per il carabiniere verbalizzante in stato confusionale. Tuttavia bisogna registrare che il castello accusatorio è rimasto in piedi. Gli inquirenti non hanno tratto alcuna conseguenza dalla scoperta degli errori, a parte quella di aprire un fascicolo a carico dell’ufficiale dell’Arma. Alfredo Romeo è rimasto in cella. Renzi senior, Lotti e gli altri sono ancora indagati. Nessuna posizione è stata archiviata per il solo fatto di aver individuato errori nei brogliacci.
Esistono altri riscontri, come per esempio gli appunti scritti da Alfredo Romeo e recuperati dagli investigatori nella spazzatura, che non perdono validità. D’altra parte, le frasi dall’attribuzione contestata erano state correttamente riportate da altri due verbalizzanti, quindi se c’è imbroglio, è assai maldestro. Ma ormai l’inchiesta Consip, sotto i colpi martellanti della campagna mediatica pro-Renzi, è sostanzialmente entrata nel novero delle “fake news”. Balle spaziali.