Eccolo il vecchio ministro del Bilancio della cosiddetta “Prima repubblica”, quella che avrebbe sgangherato il Paese, tra cumuli di debiti, corruzioni e quanti altri delitti immaginabili. Paolo Cirino Pomicino, ex democristiano di prima grandezza e impagabile simpatia, quasi si mette a ridere al telefono quando gli si chiede un commento sulla mozione di sfiducia nei confronti del ministro Saverio Romano respinta dalla Camera (315 i voti contrari, 294 favorevoli). «Non si annunciavano grandi sorprese. La vicenda nel suo complesso, però, era piuttosto grottesca. La mozione presentata dall’Italia dei Valori era completamente senza costrutto. Durante la “Prima repubblica”, un ministro aveva la sensibilità di dimettersi dal Governo, non dal Parlamento, di fronte a un avviso di garanzia. In questo caso era discutibile che di fronte a un rinvio a giudizio non ci fosse stata una sensibilità pari a quella dei nostri tempi. Ma il problema è anche che il pm aveva chiesto un’archiviazione. A questo punto chi ha chiesto un voto per la sfiducia ha caratterizzato tutto in un senso politico. Mi chiedo che senso abbia avuto».
Ormai le cose funzionano in questo modo. «Lo vedo, ma funzionano veramente male e a me pare che non esista neppure più il Parlamento». Parliamo un attimo del ministro per l’Economia Giulio Tremonti. Che ne pensa della sua manovra, del suo modo di procedere, della sua politica econmica? A questo punto il vecchio ministro del Bilancio diventa il battagliero Geronimo che scrive sui giornali e dice tutto quello che pensa senza poeli sulla lingua. È il Geronimo che, attraverso libri quasi didascalici nel descrivere il passaggio dalla cosiddetta “Prima repubblica” alla cosiddetta “Seconda repubblica”, si mette quasi a urlare nel telefono. «Io ho scritto su Tremonti da molto tempo che le sue manovre hanno una caretteristica inconfondibile: portano alla recessione. Non è un caso che l’Italia, nel 2008, è stato l’unico Paese che è andato in recessione. Ma Tremonti è solo un caso in questi 19 anni di ministri per l’Economia, come si chiamano adesso, che non capiscono nulla di politica economica.
Allora, si dice che noi soffriamo perché non cresciamo almeno dalla metà degli anni Novanta, guarda caso. In tutto questo periodo si sono susseguiti una serie di ministri tecnici, quelli che vanno tanto di moda. Faccio i nomi, in un ordine approssimativo? Bene. Allora Barucci, Ciampi, Dini, Tremonti uno, due e tre, non ricordo quante volte, Visco, Siniscalco. Ma che cosa hanno fatto questi tecnici in diciannove anni di “rinnovamento della politica e della politica economica”? Il risultato è che il Paese non è più cresciuto. Posso permettermi di dire che forse questi tecnici sono dei bravissimi tecnici, ma di politica ne masticano veramente poco? Può essere un’ipotesi di lavoro. I risultati sono sotto gli occhi di tutti».
Anche gli economisti, di varia estrazione o scuola politica, concordano che nella “Prima repubblica” avevamo dai cinquanta ai settanta parlamentari che sapevano leggere un bilancio delo Stato ed erano in grado di fare proposte o suggerimenti. Oggi ci sono al massimo cinque parlamentari, magari supertecnici, che però non capiscono nulla di politica. «Ma è proprio così. È esattamente così. C’è un vecchio aforisma inglese che rimastica Clemencau: la politica è una cosa troppo seria per farla fare ai tecnici. È per questo che le dicevo che a me sembra che non esista più il Parlamento. Bisognerebbe vedere che cosa fanno passare nel bilancio e nelle manovre, a proposito delle imposte indirette. Ci sarebbe da divertirsi, se non fossimo in una situazione tutt’altro che divertente». Un’ultima cosa, onorevole, mi dia una battuta sullo scenario del Governo. «Solo una battuta? Accanimento terapeutico».