Dottor Paolazzi, i dati Ocse dicono che nel nostro Paese la pressione fiscale in rapporto al Pil è aumentata. Questi dati sono attendibili? E che giudizio se ne può trarre?
I dati Ocse, che si riferiscono al 2007, riflettono le statistiche nazionali, sono una raccolta di dati che vengono elaborati dai singoli uffici statistici nazionali, e di per sé sono assolutamente affidabili.
La pressione fiscale in Italia è salita in questi anni, come dicono questi dati, ed è stato il meccanismo attraverso cui si è ridotto il deficit pubblico.
Non credo che via sia un problema di affidabilità di questi dati, che però non dicono che il carico fiscale è molto mal distribuito in Italia, a causa di un’elevata evasione fiscale. In realtà quindi la pressione fiscale segnalata è di tipo statistico (cioè la somma delle entrate fiscali diviso il Pil): se dovessimo considerare una famiglia di lavoratori dipendenti del Nord, la pressione fiscale sarebbe molto più elevata di quella osservata dall’Ocse.
Recentemente c’è stata una “polemica” tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia sui dati relativi al gettito fiscale. Qui esiste un problema di affidabilità dei dati?
Non credo che vi fosse in realtà una polemica del Tesoro nei confronti di Bankitalia, che non fa altro che rilevare dei numeri e rilasciarli, senza darne interpretazioni. Dalle cifre di Bankitalia emergeva una dinamica meno forte delle entrate, dovuta però anche a un problema di confronti: le normative fiscali non sono stabili nel tempo e se ci sono deroghe o rinvii di pagamenti determinati da norme, chiaramente questo influenza poi il confronto quando si prendono “pezzi” di un anno e non annate intere. Spesso questo problema si verifica anche confrontando annate intere, quando si anticipano o si posticipano entrate per spostare dei flussi o cambiare il saldo.
Secondo lei in Italia c’è realmente un’emergenza legata all’evasione fiscale, come denuncia l’opposizione?
L’evasione esiste ed è molto consistente, decisamente superiore a quella che si osserva negli altri Paesi industrializzati. Perciò quando si fanno confronti con le altre nazioni bisogna sempre tener conto di questa sperequazione nella distribuzione del carico fiscale.
Se l’evasione è in aumento o in diminuzione è cosa più difficile da dire. Sicuramente c’era stato un effetto “emersione” molto forte durante la precedente legislatura, sia per le misure adottate, sia per un impegno molto forte verso le agenzie delle entrate da parte del Governo perché aumentassero e rendessero più efficaci i controlli.
Credo che sia un po’ difficile oggi già valutare quello che l’attuale legislatura sta facendo. Si può però osservare un andamento dell’Iva molto meno marcato di quello che si osserva per le imposte sui contributi sociali, ma questo potrebbe derivare dall’andamento negativo dei consumi più che da un aumento dell’evasione fiscale. Credo quindi che sia ancora presto per trarre bilanci di questo tipo.
In Italia verrà introdotto il federalismo fiscale. Emma Marcegaglia ha dichiarato di essergli “nettamente contraria” se si tradurrà in un aumento della fiscalità a carico delle imprese. Qual è in ogni caso il giudizio complessivo di Confindustria su questa riforma?
Il federalismo fiscale è una cosa buona e necessaria (completerebbe l’attuazione del Titolo V della Costituzione), perché: può creare competizione tra territori; può diffondere le pratiche migliori (quindi l’efficienza) nella Pubblica Amministrazione; può avvicinare la responsabilità di spesa a quella di incasso, e quindi rendere più consapevoli i cittadini di quanto costano alcuni servizi e se val la pena pagarli a quel costo; rende i politici più direttamente responsabili di quello che fanno.
Ovviamente non ci si illude che il federalismo fiscale sia la panacea di tutti i mali e per realizzarlo occorrono delle regole ben fatte. Confindustria è quindi assolutamente favorevole al federalismo fiscale, occorre però disegnarlo bene.
Le difficoltà per elaborare le norme relative al varo del federalismo fiscale e i tempi lunghi che sono stati dati per l’attuazione della delega denunciano la difficoltà a conciliare le diverse esigenze degli enti locali. C’è quindi il pericolo di un aumento di spesa e di conseguente crescita della pressione fiscale.