A volersi proprio sforzare di essere ottimisti, ma proprio a sforzarsi tanto, una buona notizia nel magma ribollente delle telecomunicazioni italiane in quest’estate calda e appiccicaticcia si può pur trovare: ed è l’imminente accordo (si punta a un contratto preliminare entro luglio) tra Enel Open Fiber e F2i per il passaggio del pacchetto di controllo di Metroweb da quest’ultimo alla prima, al prezzo di circa 400 milioni, il che porterà nelle casse di F2i una plusvalenza di 200. Questa cessione farà finalmente ri-nascere una rete telefonica di altissima qualità, a banda ultralarga, in Italia, sotto il controllo dello Stato: così com’era prima della sciagurata privatizzazione di Telecom e come avrebbe dovuto restare…
Fin qui la buona notizia. Peraltro non vanificata ma certo “affaticata” dai bollenti spiriti del vero padrone di F2i, Giuseppe Guzzetti – 82 anni compiuti a maggio – che nelle vesti di presidente della Fondazione Cariplo ha (o meglio si prende, e gli altri gli lasciano prendere) potere di vita e di morte sulle mosse strategiche di F2i. Ebbene, Guzzetti ha un ruolo chiave anche nell’azionariato della Cassa depositi e prestiti, visto che le “sue” Fondazioni bancarie (di cui presiede anche l’associazione Acri) ne garantiscono – per un assurdo burocratico europeo eccezionalmente utile all’Italia – la natura “pubblicistica”, preziosissima per la finanza pubblica nazionale. La Cassa non venderà il suo 46% di Metroweb a Enel Open Fiber, per cui una volta perfezionata la vendita di Metroweb e fatta la successiva, prevista fusione della stessa Metroweb in Enel Open Fiber, la Cassa (con dentro Guzzetti) sarà socia importante della società unica post-fusione. Come contraddire un Guzzetti che oggi è, insieme, venditore e compratore? Comunque, superati cavilli e capriccetti, la vendita si farà: e sarà un bene.
Ma le buone notizie finiscono qui. O meglio: per noi utenti dei servizi telefonici ce n’è un’altra, ottima: tra pochi mesi farà il suo avvento sul mercato italiano Iliad, colosso francese della telefonia mobile, controllato dal miliardario Xavier Niel. Soprannominato il “Ryan O’Neal” dei telefoni, dal nome del patron mattocchio padrone di RyanAir. Già: perché ha sbancato il mercato francese dei telefoni con delle offerte a prezzi stracciati. In 4 anni in Francia la sua Free ha conquistato oltre l’11% di quota di mercato, con offerte pazzesche, che prevedono chiamate no-limit in 19 Paesi e 50 giga di internet al mese a soli 19 euro…
Free entrerà in Italia per decreto della Commissione europea, rilevando le 5000 antenne, con relative radiofrequenze, che Wind e H3G sono state costrette a vendere per permettere appunto l’avvento in Italia di quel quarto operatore telefonico mobile che avrebbero voluto eliminare, fondendosi! Eliminando l’effetto-calmiere che l’attuale quarto operatore, H3G, ha svolto sui prezzi medi, Wind e H3G contavano di poterli rialzare, questi benedetti prezzi, per guadagnare finalmente qualcosina dopo anni e anni di perdite. E dai loro rialzi, anche Telecom Italia e Vodafone contavano di trarre vantaggio, perché avrebbero potuto a loro volta alzare i propri prezzi. Ma Bruxelles ha detto no, ha imposto la rinascita di un quarto operatore e l’offerta migliore l’ha avanzata proprio la Iliad di Niel.
Certo, l’Italia ha un mercato più avanzato di quanto fosse quello francese nel 2012, ma Niel lo sa, e ha nella manica vari nuovi assi, cioè tutte le tecnologie che, partendo da zero, oggi un operatore può adottare, per esempio i risponditori automatici per una buona metà delle domande semplici che gli utenti rivolgono ai call-center… Insomma, per i consumatori italiani, arriveranno offerte low cost che sortiranno sul mercato l’effetto opposto a quello voluto non solo da Wind e H3G quando hanno messo in programma di fondersi, ma anche e soprattutto da Telecom Italia e Vodafone, stufe di essere “concorrenziate” dalle offerte a basso prezzo delle medesime Wind e H3G… Invece ne dovranno subire di ancora più aggressive. Bene per i futuri clienti di Free, male per gli altri operatori.
E qui casca l’asino, direbbe Totò. Perché quest’auspicato riallineamento verso l’alto dei prezzi, che faceva sperare a tutti di guadagnare di più non ci sarà. Telecom rimarrà con i suoi debiti; Vodafone, la più ricca, non riuscirà ad arricchirsi di più; e la società unica Wind-H3G, passata dopo la fusione sotto la gestione dei russi, per guadagnare di più della magra sommatoria dei guadagni dei due gruppi pre-fusione, non potrà che tagliare i costi: operazione difficile senza tagliare i posti di lavoro. Prospettiva non facile e non bella in un Paese dove non è l’occupazione ciò che abbonda…
Non resta che un’altra prospettiva, allora, per dribblare l’occhiuto presidio sui prezzi che la Commissione europea pratica a causa dell’orientamento socialista della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager: fare fusioni transnazionali. Per ottenere le necessarie sinergie agendo su mercati nazionali diversi. Ed è da questa ovvia conseguenza che nascono gli scenari del futuro a medio termine delle telecomunicazioni non solo italiane, come quello raccontato dal settimanale francese La Lettre de L’Expansion.
Di che si tratta? Secondo il giornale, nelle ultime settimane il presidente di Vivendi Vincent Bollorè – azionista di controllo di Telecom Italia – e Stephane Richard, l’amministratore delegato di Orange (l’ex France Telecom, che ha cambiato il nome dopo lo scandalo dei 30 suicidi del 2012, per il quale sta per aprirsi un mega-processo per mobbing ai danni dell’ex capo-azienda) si sono incontrati. Oggetto degli incontri, uno scambio azionario che porterebbe Vivendi a ottenere il 4% di Orange in cambio del 10% di Telecom Italia. Bollorè conserverebbe il 15% di Telecom, mettendo in sinergia i due dei principali operatori ex monopolisti del continente.
Ma Bollorè potrebbe avere una valida alternativa a questo scenario se maturasse un altro disegno, ampiamente studiato e da anni dal medesimo Bollorè e da uno stuolo di consulenti e banchieri d’affari: la fusione tra Telecom Italia e Mediaset. Che le sinergie tra reti di telecomunicazioni e fabbriche di contenuti abbiano davvero senso economico, lo dicono con convinzione soltanto i consulenti strategici (ahia) e non ancora i fatti: la stessa Vivendi ha verificato direttamente che non sempre o non ancora funzionano. Per capirsi: Netflix non ha alcun bisogno di possedere una rete telefonica per essere gettonatissima dai clienti, che ne cercano i contenuti su qualunque rete. Però avere quaranta milioni di clienti collegati al filo telefonico e potersi rivolgere a tutti loro offrendogli pacchetti integrati di abbonamenti telefonici in banda ultralarga e, al loro interno, un bel bouquet di film, fiction e quant’altro possa offrire la “library” di Vivendi non è una brutta prospettiva…
Resta da capire se Mediaset sia in vendita oppure no. Chi ha ascoltato e osservato Pier Silvio Berlusconi presentare i nuovi palinsesti per la prossima stagione, con tante produzioni nuove e nuovi investimenti in contenuti propri, non ci crede per niente. Il primogenito del Cavaliere fa quel lavoro con la passione dell’imprenditore e non con la noia del figlio di papà. Il problema si porrà però, magari tra cent’anni, quando l’ex presidente del Consiglio passerà a miglior vita e dovrà dividere il suo immenso patrimonio tra i cinque figli nati dai suoi due matrimoni… Si vedrà.