“Lo scontro in corso tra Marino e il Pd è quel lampo di ridicolo che si rileva nelle situazioni più tragiche della storia di Roma. In questa pantomima Marino, Renzi e Orfini sembrano come Pinocchio e il Gatto e la Volpe”. Lo sottolinea Rino Formica, ex ministro socialista del Lavoro e delle Finanze. Parlando davanti a una piazza affollata di fan, Ignazio Marino ha scandito: “Voi mi chiedete di ripensarci. Io ci penso e non vi deluderò”. In questo modo il primo cittadino ha prospettato un ritiro delle dimissioni che apre a un braccio di ferro in Consiglio comunale. Attraverso il senatore Stefano Esposito, il partito però fa sapere: “L’esperienza è finita. Per quanto riguarda il Pd non cambia nulla”.
In che senso il caso Roma coincide con una delle situazioni più tragiche nella storia della Capitale?
Il conflitto tra Marino e il Pd è una questione irrilevante, nel senso che il caso Roma condensa la crisi dello Stato italiano di quest’ultimo ventennio. Tutte le vicende della Capitale sono ormai il sottoprodotto di una crisi che la investe da vent’anni. L’Urbe ha perso quello che era il concentrato di potere sia dello Stato repubblicano sia dello Stato vaticano.
Che cosa è successo in questi 20 anni?
Roma ha perso il potere delle sue istituzioni democratiche che si sono affievolite, svuotate e delegittimate. A esserne colpite sono state le grandi istituzioni rappresentative della Repubblica parlamentare democratica. Roma ha smesso inoltre di essere il centro dell’alta direzione amministrativa dello Stato italiano. Quanto sta avvenendo è una decomposizione dei vertici della pubblica amministrazione che è impressionante. Roma ha perso tra l’altro anche il potere della Banca d’Italia, cioè la possibilità di emettere moneta.
Con tutto ciò vuole dire che non esiste un problema Marino?
Il caso Marino è l’aspetto ridicolo-decadente di questa vicenda. In questa pantomima Marino da un lato e Renzi e Orfini dall’altra sembrano come Pinocchio e il Gatto e la Volpe.
Se Roma è in crisi, Sala e Del Debbio hanno le qualità per rilanciare Milano?
E’ difficile dire quello che si muove nel ventre di Milano. E’ evidente però che dalla grande crisi della Capitale, Milano cerca di staccarsi. Il capoluogo lombardo cerca cioè di contenere la lotta delle tribù romane, diventando sempre di più qualcosa che si aggancia all’Europa piuttosto che all’Italia. Non nel senso secessionista o separatista, ma nel senso del distacco dalla contaminazione e dal disfarsi della statualità repubblicana e dell’istituzione curiale della Chiesa. Tutto questo avviene in un mondo dove le paure prevalgono.
A che cosa si riferisce in particolare?
Non è casuale che soffi un vento di destra nelle elezioni europee. Un vento che non è caratterizzato dalla volontà di risolvere i problemi, quanto dal condensarsi e dallo stratificarsi di paure su paure.
A Roma e Milano l’M5s può riuscire ad avvantaggiarsi di questo disfacimento?
L’M5s continua a mantenere una rendita di posizione che ha costruito negli ultimi anni. Più sono in disfacimento gli altri e più c’è bisogno di un collettore nel quale confluiscono le rabbie, le ribellioni, le proteste, il disgusto. Il tentativo dei 5 Stelle è quello di prendere questo disgusto, questa ribellione e questo antagonismo diffuso a tutti i livelli, fino a quelli individuali, e di cercare di istituzionalizzarlo. A un certo momento l’M5s si troverà di fronte a un nuovo problema: non riuscirà più a istituzionalizzare la ribellione.
Rodolfo Sabelli (Anm) ha denunciato una “consapevole strategia di delegittimazione dei magistrati”. Si ripropone con Renzi lo stesso problema che c’era con Berlusconi?
La magistratura non è contro un governo o un altro governo, perché sente che il potere esecutivo non è un suo interlocutore. La magistratura tende a rinchiudersi in una nuova ridotta di difesa, cioè in un’autonomia che se non è corporativa poco ci manca. Quando all’inizio degli anni 90 la magistratura era in lotta con il potere politico, aveva quantomeno di fronte a sé un interlocutore che non era ancora imploso e disfatto. Molte analisi oggi sono fatte sulla base di categorie di pensiero che non ci sono più. A dominare è il disfarsi della struttura unitaria dello Stato e della sua solidità politica, economica e sociale.
In questo disfacimento quale ruolo gioca il potere economico?
Il potere economico nazionale è vittima di questo disfacimento. Non a caso le imprese non chiedono agevolazioni e incentivi, ma sperano piuttosto che cambi il clima. E il clima è il frutto di una stabilità politico-istituzionale della società.
(Pietro Vernizzi)