Il leader del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani è stato chiarissimo. “Io adesso – ha aggiunto Bersani – sono segretario fino al prossimo congresso. Le primarie, che non c’entrano con il congresso del Pd, sono fatte da tutti i progressisti per scegliere il candidato alla guida del governo del Paese”. “L’anno prossimo ci sarà il congresso del Pd in forma apertissima e la notizia è – ha detto – che io intendo finire li”. Dunque, al foto-finish dei tour elettorali dei candidati alle primarie, l’attuale segretario del pd, Il leader di Sel, Nichi Vendola e il nuovo che avanza, Matteo Renzi, Bersani non intende andare oltre l’ottobre 2013. Ilsussidiario.net ha intervistato l’ex direttore dell’Unità, Peppino Caldarola.
Caldarola, come giudica l’intenzione di Bersani?
In verità, Bersani aveva già espresso qualche mese fa l’intenzione di favorire il ricambio con l’avvento alla segreteria del partito di un giovane o una giovane dirigente: quindi, la notizia di oggi conferma questa sua intenzione. D’altra parte, con la battaglia delle primarie e poi quella elettorale, il suo mandato di segretario va ad esaurimento poichè gli scenari che si aprirebbero sarebbero sostanzialmente due: o Palazzo Chigi o la sconfitta alle primarie e, quindi, il conseguente ritiro.
Ribadito a ridosso delle primarie, può trattarsi di una sorta strategia?
E’ assolutamente una strategia. Innanzitutto, perchè avverte i suoi sostenitori che per continuare ad appoggiarlo devono votarlo per permettergli di vincere le primarie. In secondo luogo, apre la corsa a capo del partito ad un trenta-quarantenne e, quindi, fa un gesto concreto “a favore della rottamazione”.
Senza Bersani, che scenari potrebbero aprirsi?
Occorrerebbe capire chi della nuova generazione ha i titoli per rappresentare la maggioranza del partito. Si aprirebbe una bella gara e in questo momento non c’è nessun favorito. Personalmente, non vedo alcun candidato che possa essere più avanti di altri né fra quelli di tradizione più socialdemocratica né fra quelli di orientamento più “liberl”.
Qualcuno potrebbe pensare che la poltrona lasciata libera da Bersani possa andare a Matteo Renzi, “rottamatore” per eccellenza.
E’ un’ipotesi percorribile se Bersani dovesse diventare premier. Renzi, però, ha già detto che se dovesse essere sconfitto alla primarie, tornerebbe di buon grado a ricoprire la carica di sindaco di Firenze. Detto ciò, resta il fatto che Renzi parte avvantaggiato rispetto a molti suoi colleghi e gode di una notorietà mediatica che molti altri della sua generazione non hanno ancora conquistato.
E nell’ipotesi in cui Vendola vinca le primarie?
In caso il candidato più radical si aggiudichi le primarie si tratterebbe di un vero e proprio sommovimento del partito. Sino ad ora, il Pd ha retto bene sia alle primarie in Puglia sia a quelle milanesi, ma se perdesse quelle nazionali verrebbe meno la ragion d’essere dell’intero partito e la conseguente sconfitta di un’intera classe dirigente. Non sarebbe tanto in discussione il suo vertice, ma l’intero assetto: a quel punto, sarebbe d’obbligo una vera e propria rifondazione e, solo in seguito, ne potrebbe uscire il nome di un candidato.
Non c’è davvero nessun “outsider”?
Il vero nome fuori quota che poteva avere un futuro all’interno del gruppo era Nicola Zingaretti che, però, è stato schierato sapientemente per tentare di aggiudicarsi il vertice della Regione Lazio. Anche in questo caso, se dovesse vincere sarà un successo ma se non dovesse farcela, la sconfitta finirebbe per appesantirlo. Per il resto, posso ipotizzare solo dirigenti lombardi, dove il partito si è rafforzato dall’elezione a sindaco di Giuliano Pisapia e uno dei nomi più spendibili è Maurizio Martina (segretario regionale del Pd ndr.) ma ce ne sarebbero molti altri.
Cosa manca a questi nomi per un’investitura tout court?
Ciascuno di questi nomi non si è ancora guadagnato il “gallone” di dirigente a tutto tondo. Questo, però, verrà fatto dopo le primarie sperando che non sia una gara costruttiva, piuttosto che distruttiva.
Non è, forse, proprio questo il punto? I metodi interni di gestione del partito Democratico non rischiano di “bruciare” tutte le nuove leve?
Questo è ciò che normalmente accade in tutte le grandi formazioni europee, sia di destra che di sinistra, dove chi perde una battaglia politica o interna, è bene che si metta da parte, se non per sempre, per almeno qualche tempo. La vedo come una giusta smentita dell’eternità delle classi dirigenti: la sanzione di un leader è il consenso e se non riesce ad ottenerlo è bene che si faccia da parte.