Al termine di due settimane molto critiche è oggi possibile tirare il fiato, perchè il coordinamento delle decisioni europee, a livello politico e monetario, ha arrestato la spirale di paura che stava montando fra i risparmiatori e le banche.
La situazione rimane però ancora critica perché i segnali di inversione di tendenza sono ancora troppo deboli: la Banca centrale europea si è dichiarata largamente disponibile ad accordare maggiore liquidità al sistema, ma l’effetto positivo sui tassi Euribor è stato per ora limitato.
Soprattutto la propensione delle banche e delle istituzioni finanziarie a detenere liquidità continua ad essere molto elevata, con una ulteriore accentuazione della stretta creditizia nei confronti di famiglie e imprese. Inoltre la crisi finanziaria in corso si è trasmessa, inevitabilmente, al settore reale che sta registrando un brusco peggioramento dei risultati economici, oltre che delle aspettative.
In questo quadro si è (ri)aperto un dibattito sul rapporto fra Stato e mercato, perché a parere di molti l’intervento dello Stato nel settore reale potrebbe diventare un danno per il buon funzionamento dell’economia. In realtà la nascita dell’IRI fu un evento necessario per frenare gli effetti devastanti della grande crisi degli anni ‘30 e per un lungo periodo nel secondo dopoguerra l’IRI rappresentò anche un modello di efficienza che accompagnò il miracolo economico italiano. I problemi sono venuti successivamente, con l’invasione della politica nella gestione delle imprese: ma pochi ritengono seriamente che questo sia il modello a cui fare riferimento, anche se la positiva esperienza storica è un utile punto di riflessione.
Il ruolo di uno Stato che interviene oggi per sanare la crisi finanziaria non può che essere quello di ridurre l’incertezza di sistema fornendo quel bene pubblico fondamentale a ogni società civile che è la sicurezza economica e psicologica, piuttosto che beni fisici materiali: cioè lo Stato come produttore di certezze. La questione non è tanto quella del numero di regole, molto spesso eccessivo, quanto di regole efficaci e soprattutto certe.
Il propagarsi della crisi finanziaria al settore reale ha portato il Governo a studiare le modalità con cui sostenere le medie e grandi imprese in difficoltà, incentivando le banche a fornire loro un credito, con una forma di garanzia: si tratta di una misura del tutto condivisibile nell’obiettivo, ma non facile da realizzare in concreto.
Accanto a queste misure è tuttavia forse il caso di restituire alle banche, il più presto possibile, il loro ruolo di intermediatori fra risparmio delle famiglie e investimenti delle imprese. Il risparmio delle famiglie oggi si è oggi spostato in misura massiccia sui titoli di Stato, considerati come la sola forma sicura di detenere ricchezza: di fronte a un eccezionale aumento della domanda di titoli il rendimento di quelli aggiudicati è considerevolmente diminuito.
Il finanziamento del debito pubblico è entrato involontariamente in competizione con il finanziamento delle banche attraverso i depositi: al tempo stesso una lezione appresa dalla crisi in corso è che gli istituti bancari più solidi sono quelli che maggiormente hanno potuto contare su volume stabile e adeguato di clientela e piccoli depositi (retail).
Per questo ci pare opportuna e utile la misura di elevare a 200mila euro il valore dei depositi garantiti dal Fondo di tutela, introdotto il 4 dicembre 1996 con un decreto legislativo, che all’articolo 5 prevedeva che «il limite massimo per ciascun depositante non può essere inferiore a lire 200 milioni». L’aggiornamento di questa cifra all’inflazione e ancor più all’introduzione dell’euro può ampiamente giustificare la misura sul piano politico.
Il provvedimento sarebbe ancora più efficace se fosse accompagnato da una modificazione della convenienza relativa fra depositi e titoli di stato sul piano dell’imposizione fiscale, aumentando il rendimento netto dei depositi a parità di gettito complessivo. Restituire liquidità alle banche attraverso i canali fisiologici, può determinare un maggior grado di stabilità per il sistema finanziario e rappresentare anche un implicito incentivo a riaprire gli altrettanto fisiologici canali di finanziamento alle imprese.
Un provvedimento di cui si è parlato riguarda la possibilità di individuare risorse aggiuntive da destinare alle famiglie: proprio la delicatezza del momento economico non deve far dimenticare la più elementare verità e cioè il fatto che la famiglia è la fondamentale unità decisionale economica per quanto riguarda le scelte rilevanti di spesa e risparmio.
In altre parole vi sono fondati motivi per ritenere che l’efficacia e la prevedibilità di una possibile politica fiscale del governo sarebbe tanto più efficace quanto più ancorata al reddito familiare. E con ciò si farebbe anche un passo in avanti verso l’adozione del quoziente familiare, che esplicitamente rientra nel programma dell’attuale governo, oltre che un anticipo di riduzione della pressione fiscale sui gruppi sociali più esposti.
Se vi fosse l’esigenza di concentrare l’efficacia di risorse limitate è forse utile ricordare che le famiglie più numerose, da 3-4 figli in su, sono anche quelle maggiormente a rischio sul piano economico.
La qualità della spesa fiscale deve essere più che mai al centro delle preoccupazioni del governo, perché l’esperienza giapponese dalla metà degli anni ’90 ha mostrato chiaramente come una manovra discrezionale della politica fiscale sia in sé una condizione necessaria ma non sufficiente per generare un moltiplicatore keynesiano di spesa. È perciò fondamentale la qualità della spesa e, ancora più precisamente, la sua equità. Così come è fondamentale la creazione di un clima fiducioso di aspettative sul futuro, proprio e dei propri figli.
Un ulteriore elemento che è opportuno trovi spazio nella mente di chi governa è l’anomalia internazionale della situazione nel settore immobiliare in Italia: in altre parole ci dobbiamo chiedere se l’elevato livello dei prezzi immobiliari sia un elemento di forza oppure di debolezza per il paese.
Infine, sul piano macroeconomico, ci sia consentito ricordare (1 ottobre 2008) l’urgenza di una stanza mondiale di compensazione sui crediti derivati e in particolare sulle assicurazioni relative ai crediti (credit default swap). È questa la gigantesca ipoteca che ancora pende sul capo di tutti noi e che va a colpire un settore particolarmente delicato e in questo momento vulnerabile, cioè il sistema delle assicurazioni.
La Riserva Federale americana sta ragionando su questa esigenza e l’attenzione dell’opinione pubblica ne sarà presto catturata (Financial Times di venerdì 17 ottobre). Il patrimonio di informazioni di cui il nostro paese dispone sul piano della vigilanza del sistema finanziario potrebbe essere messo utilmente a frutto per avere una rappresentazione accurata del problema in Italia, nell’ambito di una più sistematica e innovativa procedura di monitoraggio dei rischi, in modo da anticipare la prossima scadenza della crisi.