Sabato Mario Draghi ha trascorso l’intera mattina al Teatro della Luce di Assago, seduto in prima fila assieme alla moglie Serena. Vicino a lui il sindaco di Milano Beppe Sala, l’arcivescovo Mario Delpini, l’ex presidente della Ue, Romano Prodi. A un certo punto si è aggiunto il premier Paolo Gentiloni, proveniente da un precedente impegno al Kilometro Rosso di Bergamo: neppure lui ha voluto mancare l’invito dell’Annual Meeting del Cuamm, il centro nato quasi settant’anni fa nell’alveo dell’Università di Padova per preparare giovani medici desiderosi di operare in Africa.
Tutti hanno parlato sul palco: rigorosamente di Africa, di economia come crescita umana e civile, di cooperazione allo sviluppo, di giovani che vogliono fare, che vogliono farcela. Draghi è sempre una rivelazione quando parla a braccio su temi e con accenti diversi da quelli della conferenza stampa mensile all’Eurotower, Per la verità non si tratta di un evento rarissimo: al Meeting di Rimini, alcuni anni fa, l’allora governatore della Banca d’Italia raccontò di come suo padre – scomparso giovane – gli avesse lasciato soprattutto il coraggio come eredità morale.
L’altra mattina ad Assago Draghi ha ricordato quando, ancora giovane economista, lavorò alla World Bank come direttore esecutivo italiano nel più importante istituto internazionale di finanza per lo sviluppo del terzo e quarto mondo. E’ stato comunque un bel confronto con Gentiloni, che l’anno scorso era stato invitato dal Cuamm come ministro degli Esteri e ora ci è voluto tornare da premier. “L’Italia è l’unico Paese europeo che ha una politica decente per l’accoglienza dei migranti” ha detto ai “Cuamm people”, nei fatti ringraziandoli.
“Un’Italia decente” potrà non apparire uno slogan elettorale di grande appeal, ma è innegabilmente un’idea di Paese-membro della Ue, un solido punto di partenza politico-culturale, un’interpretazione tanto orgogliosa quanto umile del governo come servizio e come ascolto. Pronunciato sullo stesso palco a distanza di pochi minuti da due leader in carica invitati da un “corpo intermedio” , questo singolare comizio civile a due voci non è passato inosservato, non poteva passare inosservato.
La cronaca politica ha già snocciolato le sue analisi di giornata: Draghi si starebbe proteggendo con il premier (e con la garanzia ultima del presidente Sergio Mattarella) dal rialzo di tiro da parte del leader Pd Renzi e dei M5S sull’inchiesta bancaria in corso in Parlamento. Gentiloni avrebbe voluto marcato la sua totale sintonia con l’europeismo di Draghi: che non è solo tecnocrazia e non è neppure soltanto utopia. è invece passione e ragione. È politica, non anti-politica. È governo come mezzo non come fine. È rispetto delle regole come accumulo di esperienza. È democrazia come responsabilità, non come campagna elettorale distruttiva.
Ad oggi non è dato di sapere se Gentiloni proseguirà nel suo incarico anche dopo il voto di marzo: fors’anche come per lunghi mesi Mariano Rajoy ha guidato la Spagna. Si può essere invece ragionevolmente certi che Draghi non pensi minimamente all’ipotesi di lasciare in anticipo il suo incarico al vertice Bce: che scade tra due anni (forse la prospettiva può far comodo a Francia e Germania, già intenti a ridisegnare la governance europea). E’ invece un dato obiettivo che mentre il centrosinistra sembra attorcigliato sulla scelta del candidato premier (Renzi o altri?) e il centrodestra non riesce a fare a meno del paternalismo di Berlusconi, il Paese può contare almeno su due italiani.