Scherzi e chiacchiere stanno finendo, da oggi si fa sul serio. E conviene prenderne atto, perché dubito ci sarà una seconda chiamata. I fronti sono due: uno tutto italiano, almeno nella criticità principale, il secondo riguarda tutta l’Europa e il suo futuro. Mi spiace, in questo contesto, tediarvi ancora con l’argomento banche, ma, fatevene una ragione, non solo è centrale, ma lo diverrà sempre di più e non con risvolti positivi, penso. Partiamo dal presente. «La Commissione d’inchiesta non ha perso tempo e segue una linea chiara: approfondire le crisi bancarie partendo dalle più recenti e procedendo a ritroso. Abbiamo indagato sui due istituti veneti, domani inizieremo con Montepaschi di Siena, cioè il caso più rilevante sul piano sistemico. Seguiamo un metodo istituzionale». Così Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione d’inchiesta sulle crisi bancarie, in un’intervista su La Stampa. Di più, lo stesso Casini annuncia che presto verrà audito al riguardo Ignazio Visco: «Mi sembra difficile che questa Commissione possa concludere i lavori senza nemmeno aver sentito il governatore di Bankitalia e il presidente della Consob. Ascolteremo entrambi, ma verso la fine… Fare luce comporta chiarimenti spiacevoli, ma non possiamo nemmeno recitare la parte di Alice nel paese delle meraviglie. Scaricarne la colpa sulla Commissione d’inchiesta sarebbe troppo facile e comodo per tutti».
Sapete come la penso al riguardo: posso solo dirvi che le parole di Casini hanno rafforzato le mie convinzioni. Ma se la Commissione pensa al passato, c’è un presente bancario con cui fare i conti: «La Bce contraddice se stessa con l’addendum sugli Npl delle banche». Lo sostiene il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, spiegando che con il provvedimento allo studio dal’Eurotower, «manca non solo una valutazione sull’impatto, ma è anche una norma da non fare, perché si fanno regole che prescindono dagli impatti sull’economia reale e sono antitetiche alla politica monetaria espansiva della Bce. Ci auguriamo che non prevalga l’anima burocratica ma un’idea di politica economica molto chiara e anche di coerenza». Attenzione, gli industriali si sono svegliati dal loro torpore: che qualcuno abbia mostrato loro l’ammontare di bond corporate che la Bce sta comprando, garantendo alle aziende europee un finanziamento non bancario a tassi zero, senza il quale certi risultati industriali e manifatturieri sarebbe semplicemente impossibili?
Temo di sì, peccato ne prendano atto proprio nel momento in cui quei miliardi stanno per diminuire. A poco a poco ma inesorabilmente. E senza una soluzione alternativa, basti in tal senso dare un’occhiata nelle prossime settimane al credito interbancario e ai suoi tassi per averne la conferma o meno. Ma sul tema si sono mossi anche i grossi calibri, a conferma che stiamo parlando di un nodo dirimente ben più urgente della scoperta di chi ha consentito a Zonin e soci di fare il bello e cattivo tempo per un decennio. «Il recente smaltimento di Npl da parte delle banche italiane è incoraggiante», scrive il Fmi nel Regional Economic Outlook sull’Europa pubblicato ieri. A detta del Fondo, «le nuove norme insieme a fattori ciclici e strutturali sono una spinta alla redditività, anche se per una parte apprezzabile del sistema bancario, il rendimento del patrimonio netto è costantemente inferiore al costo». Infine, il Fmi ritiene che «la ripresa economica potrebbe non essere sufficiente ad aumentare i rendimenti per soddisfare le aspettative degli investitori e saranno necessari ulteriori consolidamenti e ristrutturazioni».
Brutta frase quest’ultima. Davvero brutta. Ma mai come quelle pronunciate dal vice ministro alle Finanze tedesco, Thomas Steffen, a una conferenza a Francoforte, stando a quanto riferisce Bloomberg: «La Germania offre pieno appoggio al piano della Bce per la riduzione degli Npl in pancia alle banche europee». Dopo l’ondata di critiche sul cosiddetto addendum proposto dalla Vigilanza dell’Eurotower per ridurre lo stock di crediti deteriorati, Steffen si è infatti anche detto «preoccupato per l’indipendenza del Ssm (Meccanismo di vigilanza unico) e, per estensione, per l’indipendenza della stessa Bce che noi a Berlino abbiamo sempre tenuto in alta considerazione e continueremo a farlo». Steffen ha difeso il piano della Bce spiegando che «è chiaro che il Ssm sta facendo quello che un buon supervisore dovrebbe fare e ha auspicato che le lezioni del passato includano anche il consentire ai supervisori di lavorare e contribuire a ridurre il più rapidamente possibile il livello insopportabilmente elevato degli Npl nell’Unione europea».
Attenzione a queste parole, perché non sono state pronunciate a caso: sono l’ennesimo segnale di ciò che ci aspetta dopo il voto di primavera, sono la quiete sibilante prima della tempesta. Perché quanto accaduto finora al nostro sistema bancario rischia davvero di essere la punta dell’iceberg: c’è voglia di shopping in giro per il mondo e le nostre mancate aggregazioni fra soggetti sono il sangue che fa ribollire la piscina dei piranha.
Secondo punto, molto più breve per non tediarvi oltremodo. Oggi alla Camera dei Comuni britannica inizia la seconda lettura del cosiddetto Repeal Bill, la legge che formalizza l’attivazione dell’articolo 50 e, di fatto, il Brexit. Theresa May ha giocato la carta del forzare la mano, includendo tra le centinaia di emendamenti che dovranno essere votati, quello con data e ora di uscita del Regno Unito dall’Ue, il 29 marzo 2019 alle 23 ora di Greenwich. Il voto sarà palese, quindi la fronda pro-Europa che monta dentro il Partito Conservatore dovrà giocoforza venire a galla, ma il timore è altro e fa capo alle mia convinzione che si arriverà al grande ripensamento, ovvero niente Brexit, bensì Bregret, come è già stato ribattezzato. Primo, il grande cerimoniere di questa operazione politica è Tony Blair, uno che – piaccia o non piaccia – le sue pedine sa muoverle, anche in contesti decisamente pesanti. Secondo, i 35 ribelli Tories pronti a sfiduciare la May sono saliti a 40, stando al Sunday Times dell’altro giorno e questo porta a -8 la quota di deputati necessari per far scattare, da statuto, il voto di fiducia sulla leadership di partito: sono molti a scommettere che da qui alla fine dell’esame degli emendamenti a Westminster, quel numero sarà raggiunto e la May e il suo governo potrebbero raggiungere il capolinea.
Se così sarà, come vi dico ormai da settimane, si tornerà alla urne e, quindi, si sospenderanno le fallimentari trattative in corso a Bruxelles almeno fino a primavera. Per allora, al 10 di Downing Street sarà sbarcato il più malleabile e manovrabile Jeremy Corbyn e, allora, si potrà prima parlare di “soft Brexit” con tempi e strappi molto diradati e poi di ritorno all’ovile, con un bell’abbraccio e la City che tira un sospiro di sollievo.
Attenzione, questa settimana è cruciale. E attenti a ogni spiffero che arrivi da nord del Reno rispetto alle nostre banche. Girano strane voci.