Giovedì mattina la Banca centrale europea ha assegnato 82,6 miliardi di euro a 255 banche europee nella prima delle otto operazioni di rifinanziamento a lungo termine TLtro (Targeted long term refinancing operation), il programma della Bce che fornirà liquidità per incentivare il credito alle imprese. Le banche consegneranno in pegno dei titoli finanziari, chiamati collaterali, in cambio di liquidità sotto forma di depositi presso la Bce. A differenza delle aste settimanali, gli istituti di credito avranno diritto a conservare la liquidità fino al settembre 2018, ma potranno anche scegliere di restituirla dopo due anni da ciascuna operazione. Ne abbiamo parlato con Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università La Sapienza di Roma e presidente del comitato per il referendum contro il Fiscal Compact.
Professore, il programma Tltro sarà sufficiente a far riaffluire il credito all’economia reale?
Il vero problema è che la domanda di credito non c’è perché la gente continua a essere pessimista e a non voler investire. Gli interventi della Bce sono positivi, ma c’è un elemento che ne annulla il messaggio: mi riferisco al ricorrente invito alla necessità di continuare nell’austerità, pur temperata dalla flessibilità. Di fatto con una mano si viene incontro al settore privato, ma con l’altra ci si prepara a togliere di nuovo. Da Francoforte partono purtroppo messaggi ambigui, e in questo momento c’è bisogno esattamente del contrario, cioè di certezze anti-austerità.
Lei ritiene che Draghi dovrebbe mettere in campo misure più massicce?
La Bce dovrebbe essere più coerente, sollecitando i governi ad attuare politiche non austere. È necessario un intervento estremamente rilevante, e “l’arma segreta” è rappresentata da una maggiore espansione fiscale attuata da tutti gli Stati, a partire dalla Germania. Da tempo preferisco la leva della spesa sotto forma di investimenti pubblici, che in Italia sono condizionati all’avvio di una spending review. Una delle implicazioni più nefaste del Fiscal compact è il fatto di impedire il finanziamento di investimenti pubblici attraverso risparmi di sprechi.
Secondo lei, nello specifico la Bce come dovrebbe intervenire?
Qualsiasi intervento di acquisto di titoli pubblici non sarà mai efficace se non è coniugato a una politica fiscale giusta. Occorrono delle forti prese di posizione in direzione opposta a quelle che sta facendo Draghi sull’importanza dell’austerità. Il governatore della Bce deve affermare senza se e senza ma che l’austerità deve finire in tutta Europa, e non soltanto in Germania. Ciò presume un accordo europeo più complessivo e che Draghi sia autorizzato a fare queste affermazioni. È l’intera Europa che deve decidere di cambiare passo.
La Bce dovrebbe e potrebbe attuare il quantitative easing come la Fed?
Se per quantitative easing intendiamo un acquisto aggressivo di titoli pubblici, assolutamente sì. Non pensiamo però che questo abbatta clamorosamente gli spread, i quali scenderanno se i mercati incominciano a credere che tornerà la crescita. Non basta stampare cartamoneta, la crescita la fanno gli imprenditori dalla mattina alla sera con le loro azioni, e a essere decisivi sono gli investimenti e la fiducia. Perché ciò avvenga occorre cambiare le regole che impediscono di fornire un supporto all’economia nei momenti di difficoltà.
Perché in questo momento l’Italia è vista come il Paese più a rischio, come erano un tempo Grecia e Spagna?
Gli spread italiani rimangono decisamente al di sotto di quelli greci e vicini a quelli spagnoli. L’intero sistema economico europeo legato all’euro è percepito come fortemente instabile, e in questo sistema l’Italia è il terzo Paese più grande. C’è una crescente preoccupazione anche sulle condizioni della Francia, che è il primo Paese che in caso di difficoltà potrebbe spegnere la luce. Parigi infatti ha un notevole orgoglio nazionale e una cultura spiccata del gestirsi in un’ottica di una Pubblica amministrazione efficiente.
(Pietro Vernizzi)